22 Novembre 2019
12:45
Il continente oscuro dell’anima. Recensione di “La donna leopardo” a Tortona
TORTONA – Impossibilità del possesso, gelosia, sentimenti che scoprono istinti basici, personalità frammentate. “La donna leopardo”, ultimo romanzo scritto da Moravia prima della sua morte poi pubblicato postumo, è denso di pulsioni animali, proprio come quelle del felino nel titolo, ed è su questo che si è concentrata Michela Cescon, attrice di teatro e cinema qui alla sua prima regia.
Lo spettacolo, il cui adattamento drammaturgico è firmato dalla stessa Cescon con Lorenzo Pavolini, è andato in scena ieri, 21 novembre, al teatro Civico di Tortona, come sempre pieno, grazie ad una stagione che ogni volta si conferma di ottimo livello. Il mese di novembre è stato particolarmente ricco (ben quattro appuntamenti in cartellone) e si concluderà, venerdì 30 novembre, con una signora del teatro: Maria Paiato diretta da Paolo Colella in “Madre courage e i suoi figli”, una nuova versione, dalle forti componenti musicali, del capolavoro brechtiano.
“In Africa mi sentirei di fare qualsiasi cosa”. Con questa premessa inquietante inizia “La donna leopardo”. Due coppie: Lorenzo e Nora, Flavio e Ada; il primo un giornalista e il secondo il suo editore che ha anche un’attività imprenditoriale in Gabon. Insieme i quattro intraprendono un viaggio di lavoro, ma anche di svago, in Africa e, a contatto con la natura selvaggia, perdono di vista le convenzioni indotte dal loro solito ambiente, rivelando il loro io più profondo, fatto di egoismo, sensualità e desiderio di possesso. Non è una semplice dicotomia femminile-maschile, ma un tuffo in un tempo atavico, dove (dice Flavio/Paolo Sassanelli) la protezione della storia non esiste e si ritorna alla preistoria, persino ad un ricongiungimento con un’età infantile della vita, dove il rifugio è quello primario e carnale dell’abbraccio.
In un contesto scenico scarno, il gioco dell’attrazione tra Nora e l’editore del marito perde il carattere del corteggiamento galante e diventa un’ossessione per Lorenzo, a sua volta indotto al tradimento dalla gelosa e viscerale Ada. Così un gioco di luci più calde e rumori di foresta evocano un ambiente dove tutto è possibile, un cubo rotante rappresenta più luoghi e soprattutto uno stato mentale scarnificato e ridotto alla sua essenza. La noia (tema caro a Moravia), tollerata nella quotidianità di sempre, si scioglie in una danza tribale, scomposta e inquietante come l’atmosfera opprimente (pare la stessa di “Cuore di tenebra”) che domina sino al finale, comunque non risolutivo dei dubbi di Lorenzo sul mistero della moglie-donna leopardo.
I dialoghi si reggono sulla bravura dei protagonisti, messi alla prova da una regia volutamente asciutta (come la prosa di Moravia) e talvolta troppo aspra, persino un po’ meccanica nelle scene di insieme. Daniele Natali è credibile nel dare vita a Lorenzo, insicuro e fomentato nella sua nevrosi da Ada/Valentina Banci, amaramente ironica, insinuante e persino feroce. Bravissima Olivia Magnani, una vera Ada/donna leopardo felina e sensuale, capace di trasmettere mistero con le parole e con il corpo. Cinico, come un vero affarista, e al contempo ironico con il suo accento toscano, Lorenzo Pavolini. Sue le osservazioni più illuminanti e terribili sulla natura umana messa a nudo e suoi (in comune solo con Nora) i segreti da non svelare.
L’anima, come l’amore, è un continente oscuro, incomprensibile e denso di mistero ed è l’amato il vero cuore di tenebra che è impossibile penetrare. Questa l’ossessione di fondo che permane anche a sipario calato.