7 Dicembre 2019
12:03
Un volo solitario. Recensione di “Fausto Coppi. L’affollata solitudine del Campione” alla stagione MARTE
ALESSANDRIA – “Un uomo solo è al comando…” è la frase pronunciata dal radiocronista sportivo Mario Ferretti sulla leggendaria tappa Cuneo -Pinerolo del Giro d’Italia del ‘49, vinto straordinariamente da Coppi. Con la stessa frase è iniziato ieri 6 dicembre, al Teatro San Francesco, quinto appuntamento della stagione MARTE diretta dalla compagnia Stregatti, “Fausto Coppi – l’affollata solitudine del campione”, con Michele Maccagno, Gian Luca Favetto (anche autore e regista) e il musicista Fabio Barovero.
La produzione del Teatro Stabile e del Circolo dei Lettori di Torino coincide non a caso con il centenario della nascita del Campionissimo, celebrata anche nella nostra città con la mostra “Scatti. Fausto Coppi e i suoi fotografi”, allestita fino al 2 febbraio nel museo AcdB (delle biciclette) di Palazzo Monferrato. In sala, al San Francesco, anche Giovanni Meazzo, ciclista e poi costruttore di biciclette, considerato la memoria storica del ciclismo epico, un ponte, come le testimonianze letterarie e radiofoniche, con un’Italia che era e si rispecchiava nel ciclismo, sport popolare per eccellenza.
La solitudine è il trait d’union del viaggio attraverso le imprese e la vita di Fausto, soprannominato l’Airone, per la sua eleganza, e il Campionissimo, per la portata delle sue vittorie immortali. Solitudine che appare inevitabile, innata nel carattere schivo delle terre “di grandi silenzi” e propria “dell’uomo sempre a disagio con la felicità”. Inizia, come tutti sanno, a Castellania la vita di Coppi e, da quelle colline, inizia anche la sua storia, ripercorsa attraverso la giovinezza, il desiderio della prima bicicletta, la fatica e i clamorosi successi. Michele Maccagno dà voce a Biagio Cavanna, il massaggiatore-allenatore cieco di Fausto, entrato nella leggenda come il mago di Novi, a Curzio Malaparte, a Buzzati, alla scrittrice Anna Maria Ortese, prima donna a seguire (contro le consuetudini del tempo) il giro d’Italia del ‘55. Prende vita una società che attraversa la guerra (e a Coppi neanche quella fu risparmiata), rinasce con la Milano-Sanremo del ‘46, espressione popolare della volontà di riscatto, si identifica con il suo campione, acclamato, posseduto, giudicato, eppure solo nel suo sacrificio. E’ una solitudine che ricorre in tutte le riflessioni e le fonti che parlano di lui, uomo figlio del pensiero, mentre Bartali era figlio della fede (così scrisse Malaparte). La stessa solitudine che lo oppose alla società bigotta e perbenista del tempo, a causa della sua relazione pubblica con la dama bianca e della rottura dei rispettivi matrimoni precedenti. Lo scandalo, punito all’epoca sia legalmente che moralmente, fece di lui un personaggio controverso e oggi persino simbolico di una mentalità semplice ma razionale e illuminata, in volo solitario rispetto al suo tempo, come in volata nelle corse.
Trasporta “in uno spazio speciale” (lo stesso immortalato nella famosa foto dello scambio della borraccia tra Coppi e Bartali) l’ottima e poliedrica interpretazione di Maccagno, intercalata da una lettura giornalistica (non sempre dal giusto ritmo) di Favetto. Rimane un viaggio attraverso un’Italia disegnata dalle gare ciclistiche, una parte di storia che precede ciò che siamo diventati.
La stagione MARTE- Nodi al Teatro San Francesco proseguirà il 25 e 26 gennaio con Spoglie tratto da “Le Troiane” di Euripide della Compagnia Stregatti, in occasione della giornata della memoria.