Autore Redazione
mercoledì
1 Aprile 2020
19:55
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Cronaca - Alessandria

Il dramma delle case di riposo in Val Cerrina: più di 20 morti in 20 giorni

Il dramma delle case di riposo in Val Cerrina: più di 20 morti in 20 giorni

VAL CERRINA – È un dato tragico quello che arriva dalle Rsa della Val Cerrina. A riferirlo sono il direttore della Rsa Confraternita di San Michele di San Candido (Murisengo) Gabriele Zonca e la Rsa Amione di Cicengo (Odalengo Grande). “Siamo stati lasciati soli e continuiamo ad esserlo. Ospiti e malati delle Rsa sono considerati cittadini di serie B. A nulla sono valse le nostre segnalazioni e grida di aiuto lanciate da oltre un mese“, è il grido di denuncia. Nelle due strutture si sono verificati oltre 20 decessi in poco più di 20 giorni.

Le Rsa della Val Cerrina si chiedono soprattutto perché le Unità Speciali di Continuità Assistenziale (Usca) non siano ancora funzionanti per le strutture del territorio. “I nostri malati sono cittadini con pari diritti dovunque risiedano e qualsiasi sia la loro età e/o condizione“, scrivono. Per poi aggiungere che, nonostante siano stati firmati i Protocolli d’intesa fra Unità di Crisi regionale, Prefetture, Città Metropolitane e Provincie del Piemonte, “al momento nulla di concreto è stato attivato e, nel frattempo, i nostri malati stanno male, soffrono e muoiono“.

Se da un canto non riceviamo assistenza e aiuti (nessuno risponde alle nostre email e telefonate; neppure alle richieste di trasporto in ospedale dei malati più gravi), dall’altro, paradossalmente, stiamo ricevendo telefonate dall’Asl per sapere quanti posti si sono liberati. Perché questa domanda?  Gli unici a risponderci sono stati i Comuni. Anche se ad emergenza avanzata (anche per loro è stato difficile trovare interlocutori e aiuto), hanno fatto il possibile per aiutarci fornendoci i dpi“, scrivono ancora le Rsa della Val Cerrina.

Poi un elenco di richieste per far si che la situazione non degeneri a scapito della salute di operatori, pazienti e ospiti delle case di riposo:

  • che vengano effettuati test sierologici e tamponi per malati e personale, per sapere chi ha sviluppato gli anticorpi, chi è positivo e chi è ancora non è stato contagiato;
  • di personale oss e infermieristico in sostituzione dei colleghi assenti per malattia;
  • un medico e un infermiere che quotidianamente passi nelle Rsa per visitare i malati;
  • di sapere cosa rispondere ai parenti che vogliono portarsi a casa i loro famigliari;
  • di sapere come trattare le dimissioni ospedaliere.

La richiesta d’aiuto è palese. “La qualità della vita dei nostri ospiti, anche quelli asintomatici, è peggiorata: soffrono crisi di solitudine, da settimane non vedono i loro cari, non possono più seguire le attività fisioterapiche e i programmi di animazione, pranzano in solitudine e, in solitudine, restano tutta la giornata. Solo oss e infermieri, tra una corsa e l’altra, riescono a garantirgli un minimo di calore umano“, si legge. Ecco che i prelievi servirebbero a capire chi potrà “tornare a vivere in condizioni di socialità minima e chi, invece, deve continuare a restare in isolamento, oltre a chi, infine, va maggiormente protetto in quanto ancora non contagiato“.

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