12 Maggio 2020
15:21
Lettera d’amore al Teatro Comunale di Alessandria: “Mi manchi, vorrei che rinascessi domani”
ALESSANDRIA – Una vera e propria lettera d’amore per il Teatro Comunale di Alessandria quella che l’attore Francesco Parise ha pubblicato sul suo profilo Facebook.
“Carissimo Comunale” ha scritto il responsabile didattico della scuola I Pochi “no, non ci siamo dimenticati di te, almeno io non l’ho fatto. Anzi con questo stand-by socioculturale, io sento molto di più la tua mancanza e vorrei tanto che rinascessi domani, che accendessi le tue innumerevoli luci per illuminare, celebrandola, “l’arte”, teatro o danza che sia, che dentro di te si “narrava”. Ti darei un bacio! Che cos’è una bacio? Un apostrofo rosa fra le parole “t’amo” È troppo inviare un bacio a un teatro? (forse sì, se si pensa alla struttura fisica dell’oggetto beneficiario). Invece dico che te lo meriti proprio un bacio, perché sei stato una parte importante della mia vita, quella piena di sogni e ambizioni per il teatro. Vendevo pubblicità, ma avrei voluto avere la forza e il coraggio di diventare attore “contribuente”. Tu, caro comunale, mi hai fatto credere che avrei potuto farcela. Mi avevi illuso? Beh un teatro genera illusioni ad ogni spettacolo, dal momento che si spengono le luci a quando si riaccendono”.
“Mi viene in mente una poesiola di Vittorio Gassman, dal titolo “Prospettiva”:
Una nonnina per la prima volta
vide un dramma a teatro: « Che bello! »
disse alla fine, « tutte quelle luci,
tante belle parole… Soltanto
per un attimo è stato un po’ noioso:
quando tutti hanno fatto silenzio,
e poi il buio, e certi maleducati
chiacchieravan fra loro da una parte… »
La saggezza non fa divario
fra una vecchietta e Charles Baudelaire:
anche lui, di tutto il rito teatrale,
preferiva l’entre-acte. E il lampadario.
“Quanti amici ho incontrato e stimato da te, caro teatro. Amici attori (purtroppo qualcuno di loro non c’è più), cantanti, ballerini, tecnici, maschere, cassiere… tuoi “fans”. Chissà quanti followers avresti accumulato sui social se fossero esistiti allora, chissà quanti likes. Da te, amato comunale, si viveva l’entusiasmo per tutto quello che veniva creato (tanta roba), per tutto quello dentro di te era improvvisato, condiviso con gli alessandrini (qualche volta rappresentanti di un pubblico un po’ scorbutico); agli spettacoli, però, erano sempre presenti, in gran numero e amavano colmare l’enorme foyer prima degli eventi (col vestito delle grandi occasioni), cianciare allegramente e magari correre al bar Marini per un caffè che aiutasse a tenere vigile l’attenzione )o in toilette per una veloce pipì). Da te non c’era solo amore, ma anche rabbia, tristezza, commozione, frustrazione, risa e pianti. Una girandola di sentimenti che si alternavano con una piacevole sensazione di vita”.
“E la Scuola di Recitazione che tu ospitavi al tuo interno? Che bello! Io ero sempre lì, insegnante alle prime armi confuso tra gli allievi “confusi”. «Chissà cosa ci fanno fare stasera a lezione?» si chiedevano timorosi. E quindi da te si è vissuta anche la paura di chi affrontava il mondo del teatro per la prima volta: era una paura vera, quella che sorge quando si stanno per vivere momenti di grande emozione”.
“No, caro Comunale, non posso scordarmi di tutto ciò e ti ringrazio. Qualcosa si dovrà pur fare per farti risorgere dalle macerie intellettuali che si sono riversate sui palcoscenici, nei magazzini, nella biblioteca teatrale, nei bagni, negli spogliatoi, negli uffici e negli anfratti nascosti (ai più perché io li avevo visitati tutti). Si potrà fare e lo faremo. Grazie Comunale”.