5 Giugno 2020
08:38
5G e rischi per la salute: lo studio di Arpa sulla nuova generazione di telefonia mobile
ALESSANDRIA – Quello del 5G, ovvero la quinta generazione di telefonia mobile, è diventato un argomento virale. Post, meme, articoli, fake news create ad arte hanno generato tanta curiosità quanta confusione su questa tecnologia che promette di rivoluzionare il mondo della telecomunicazione. Ma è davvero pericoloso il 5G? Per rispondere a questa domanda Arpa Piemonte in un lungo articolo ha provato a fare un po’ di chiarezza dopo i numerosi quesiti formulati nel tempo da cittadini e amministrazioni.
Bisogna premettere che il 5G è una nuova tecnologia wireless utilizzata per la trasmissione di informazioni sia mediante connessioni di tipo uomo-uomo che uomo-macchina e macchina-macchina. Viene utilizzata, ad esempio, nella telemedicina, nella domotica, nel pilotaggio di droni, nell’automazione di processi industriali e nell’automotive. Questo sta a significare che il settore delle telecomunicazioni è solo uno dei numerosi campi di applicazione di questa tecnologia.
Arpa Piemonte sta attualmente monitorando la situazione sull’esposizione della popolazione a questa nuova tecnologia. Ma l’Agenzia per la protezione dell’ambiente sta anche effettuando le valutazioni preventive all’installazione dei nuovi impianti 5G oltre che misurazioni sugli impianti già attivati. “Le valutazioni preventive vengono effettuate considerando i peggiori scenari possibili sull’attivazione dei fasci e la distribuzione degli utenti e, quindi, forniscono i livelli di esposizione massimi possibili per queste tipologie di impianti. Secondo questo approccio cautelativo, per le antenne 5G viene considerato un diagramma che rappresenta in ogni direzione di irraggiamento la massima emissione possibile del campo elettromagnetico dall’antenna“, spiega Arpa. In particolare viene verificato che i nuovi impianti rispettino i limiti fissati dal Dpcm dell’8 luglio 2003 preventivamente alla loro istallazione.
Quello che è emerso negli studi da parte dell’Agenzia è che i livelli effettivamente rilevati sono molto più bassi di quelli massimi calcolati in fase preventiva. Questo è dovuto ad una serie di fattori:
- i pochi utenti ad oggi presenti attivano pochissimi fasci, e in assenza di terminali il campo elettromagnetico irradiato è prossimo a zero;
- se il terminale che aggancia il fascio si trova a pochi metri da una persona, questa riceve una radiazione trascurabile (perché il fascio è estremamente direttivo);
- il sistema di gestione del segnale è così efficiente che, anche se in una certa area sono presenti più smartphone e tutti quanti scaricano un video ad alta definizione (quindi con un trasferimento dati consistente), la potenza irradiata verso quei terminali è solo una piccola percentuale della potenza massima.
Certo è che uno degli aspetti più discussi dell’immissione della tecnologia 5G è legato agli effetti sulla salute derivanti dall’installazione delle nuove antenne. L’Oms ha classificato l’esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenze come possibilmente cancerogena (classe 2B). “Tale classificazione esprime la presenza di limitate evidenze emerse in alcuni studi epidemiologici ma l’assenza di prove scientifiche sufficienti a stabilire una rapporto di causa effetto tra l’esposizione e il cancro“, spiega ancora Arpa. Sugli effetti dell’esposizione a lungo termine ai campi elettromagnetici.
Arpa, in relazione ad alcuni elementi del dibattito sulle novità introdotte dalla tecnologia 5G, sostiene si possono fare le seguenti considerazioni:
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gli impianti alle frequenze di 3.7 GHz, che vengono prevalentemente installati in questa prima fase di implementazione della tecnologia 5G, e gli impianti a frequenze di circa 700 MHz che verranno installati a partire dal 2022, emettono segnali che presentano frequenze analoghe a quelle già utilizzate da diversi anni nel settore delle telecomunicazioni. Tali impianti non rappresentano, quindi, una novità dal punto di vista della tipologia di segnale a cui siamo esposti. Diverso è il discorso degli impianti nella banda 27 GHz che sono frequenze a cui la popolazione non è stata esposta storicamente, in quanto gli impieghi nelle comunicazioni satellitari non causano esposizione ambientale;
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a sostegno dell’ipotesi di nocività delle esposizioni a segnali 5G vengono spesso citati due recenti studi, pubblicati nel 2018 dall’US National Toxicology Programme (NTP) e dall’Istituto Ramazzini di Bologna, riguardanti alcune evidenze di carcinogenesi in ratti da laboratorio esposti a radiofrequenze. Questi studi, in realtà, non sono stati condotti con segnali 5G ma con segnali a radiofrequenze tipici della tecnologia GSM (2G). L’intensità dei segnali utilizzati, inoltre, è di gran lunga superiore ai limiti previsti in Italia e, quindi, a quella che si può riscontrare in comuni condizioni ambientali. L’indagine dell’Istituto Ramazzini, che tra i due studi è quello che considera i livelli più bassi di esposizione, evidenzia la presenza di effetti a segnali di intensità pari a 50 V/m (con una esposizione continua per tutta la durata della gestazione e della vita dei roditori), mentre non vengono rilevati effetti a segnali di intensità più bassa. Si rileva che il valore di 50 V/m è molto più elevato di quello che è ammesso dalla normativa italiana (6 V/m in aree residenziali) e ancora maggiore di quello che si può comunemente riscontrare in un ambiente urbano densamente popolato (variabile tra 0.2 V/m e 2-3 V/m).
In definitiva, si può dire che al momento non ci sono indicazioni su una maggiore nocività delle emissioni da impianti 5G rispetto a quelle provenienti da impianti per telecomunicazione già da tempo installati sul territorio.