Autore Redazione
lunedì
16 Febbraio 2015
16:49
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Cronaca - Casale Monferrato

Romana Blasotti lascia dopo 22 anni: “perché la lotta deve essere ancora più forte”

Romana Blasotti lascia dopo 22 anni: “perché la lotta deve essere ancora più forte”

CASALE MONFERRATO – Dopo 22 anni Romana Blasotti Pavesi lascerà la presidenza dell’Afeva. Manca la formalità ma la decisione è stata presa. Senza traumi, con il consueto garbo e la profonda delicatezza i componenti dell’Afeva hanno voluto regalarle uno striscione per ringraziarla del lavoro prezioso svolto in tutti questi anni. Romana Blasotti è una donna minuta dai profondissimi occhi azzurri, che ha subìto, moltiplicato, il dolore causato dall’Eternit (il marito Mario, la figlia Maria Rosa, la sorella Libera, il nipote Giorgio, tutti morti per il tumore causato dall’amianto). Non ha mai ceduto e ha sempre combattuto. Lo farà ancora. La sua scelta di lasciare la presidenza (manterrà comunque il ruolo di presidente onoraria ndr) servirà, ha spiegato, a dare maggiore forza a una battaglia che ha bisogno di continuo vigore anche perché lei non si arrende di certo: “spero che le forze che mi rimangono mi possano sostenere. Io urlerò fino all’ultimo momento la mia rabbia per la sentenza della Cassazione. Le persone a Casale si ammalano e muoiono e questa è una grande ingiustizia perché quanto successo poteva finire in tanti modi diversi, non certo in quella.”

Però la forza di Romana e di Casale è tutta nella sua caparbia volontà di non arrendersi: “per come è cominciata la nostra lotta, per quanto abbiamo combattuto, il punto cui siamo arrivati, ebbene tutto questo non può consentire un epilogo del genere. La gente che purtroppo ancora soffre, si ammala e poi manca, il dolore dei parenti, tutte queste cose, impongono la necessità di continuare a combattere. Io mi sono dimessa perché la lotta deve essere ancora più forte“.
Romana sospira ma con lucidità chiarisce: “le mie forze non sono più quelle di ieri“, anche perché dopo la sentenza della Cassazione aveva detto di essere stanca, stanca ma non rassegnata. “Lo dissi perché era stata una lotta molto dura. E la risposta che arrivò è stata altrettanto dura, cruda, vergognosa. Io continuo a domandarmi: chi ha emesso la sentenza conosce la storia di Casale. Basta pensare che in quei giorni, quelli della sentenza, sono mancate tre persone per mesotelioma. Non possiamo essere contenti di quanto accaduto.”

Bruno Pesce ha parlato con consueto affetto del ruolo di Romana spiegando quanto siano state e siano tuttora importanti le parole, “quando lei parla – ha detto – le persone scettiche o che provano a screditare questa storia tornano con i piedi per terra”. Romana però sorride e spiega: “voglio tanto bene a Bruno ma temo non abbia ragione, purtroppo queste persone non tornano con i piedi per terra perché li hanno già lì. Vorrei ci fosse più giustizia. Dovrebbe essere punito qualcuno per far capire che non siamo cose ma persone“.

“Io ho fatto delle cose perché ho subìto quel che ho subìto, e sono cose che non si dimenticano. Io spero che al mio posto arrivi una persona ancora migliore, che abbia la volontà di portare avanti fino alla fine questa battaglia.”

Intanto Romana può contare sull’affetto delle persone: “io, sinceramente, sento la vicinanza delle persone, la vedo nelle persone che mi salutano anche se non mi conoscono, nelle persone che mi sono state vicino. È qualcosa che nessuna somma può pagare. Quando si perdono così tante persone le ferite sono sempre aperte. Il dolore è dolore e si vorrebbe avere veramente giustizia“.

Infine la domanda più banale ma anche la più importante e cioè come finirà questa battaglia: “io spero che qualsiasi cosa, anche questo epilogo così brutto con la Cassazione, possa essere un’occasione per far riflettere sulle cose da cambiare. Questa situazione ha fatto morire tanta gente“.
La sua voce è ferma, ingigantita dalla calma di chi ha quasi 86 anni seppur tramortita dal contraccolpo di chi stava per afferrare un pezzo di giustizia, quella che dovrà continuare a coltivare la comunità di Casale Monferrato. Fabrizio Laddago

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