31 Agosto 2020
12:10
Un assaggio della prima domenica ad AstiTeatro 42
ASTI – E’ una città a misura di teatro, Asti, e lo si respira non solo nell’imponente Teatro Alfieri, ma anche nelle splendide chiese sconsacrate, nei cortili e in tutto il centro storico, diventati palcoscenico di AstiTeatro 42, la quarantaduesima edizione dello storico festival teatrale con la direzione artistica di Emiliano Bronzino. Astiteatro vive e fa vivere la città, lo si vede nei gruppi di spettatori che si spostano da un luogo all’altro, seguendo il programma ricchissimo del cartellone, che ritornano giorno dopo giorno e amano il naturale fondersi di luoghi, accoglienza e proposta artistica di alto livello. Domenica 30 agosto il palinsesto, dopo la prima di “La montagna vivente” con Lorenza Zambon, è poi proseguito con “The night writer” di Jan Fabre con Lino Musella e con “In nome del padre” con Mario Perrotta.
“The Night Writer. Giornale notturno” è la raccolta dei diari di Jan Fabre scritti tra il 1985 e il 1991, uno specchio enigmatico e incandescente di una creatività debordante che giudica se stessa, si sfoga e si guarda dal di fuori, definendosi un errore e affermando la volontà di continuare ad esserlo. Lino Musella è seduto, in una staticità che sembra febbrile, ad una scrivania, mentre alle sue spalle si visualizzano frasi degli scritti di Fabre e una sequenza, che terminerà solo nel finale, dell’happening artistico realizzato sul fiume di Anversa. Il protagonista racconta, partendo da luoghi e date (Anversa, 1978) fatti di vita, messi su carta con una bic blu e mescolati a false verità scritte in biro rossa, in mancanza, nella circostanza, proprio della biro rossa. L’ironia si mescola alla violenza della creazione artistica, alle notti insonni, alle sigarette che bruciano come il fuoco e come la febbre che divora. Musella riesce a generare coinvolgimento, a far cantare il pubblico, a vivificare un testo, che alterna frammenti diaristici a brani di opere dell’artista, quasi solo con la voce e le espressioni, generando un effetto che deborda come da una compressione. E allora si va al di là di un modello di artista maledetto, perché all’anarchia dell’amore, dell’immaginazione, dell’arte («le tre leggi della vita che osservo»), si aggiunge l’autosservazione, l’ironia che firma l’atto artistico e ne fa un unico. Sarà un Fabre-marionetta ad osservare la sua creazione-Musella e la sua stessa creazione ricambierà lo sguardo ironico, perché l’atto di donare il corpo all’arte è violento, ma l’artista esce da sé, si osserva e trasmette emozioni essenziali e imprevedibili. Tanta essenza e imprevedibilità, concentrate e sempre sul punto di deflagrare, hanno valso a Musella per questo lavoro il Premio Ubu come Miglior Attore.
Dal Teatro Alfieri è stato facile individuare i tanti spettatori che si sono spostati al cortile del Michelerio per lo spettacolo successivo, spostato nell’adiacente e veramente splendida ex chiesa del Gesù a causa di un’improvvisa pioggerella. In questa cornice barocca Mario Perrotta, circondato da tre sculture stilizzate e dall’aspetto decadente, che richiamano i modelli classici del discobolo, del pensatore e di un guerriero nell’atto del riposo, è il protagonista di “In nome del padre”, da lui scritto con la consulenza dello psicanalista Massimo Recalcati. Il tema è il tramonto del modello di paternità, consunto come le installazioni artistiche sulla scena, e lo svolgimento è giocato nell’intreccio tra le confessioni di tre diversi padri di adolescenti. Perrotta passa da un personaggio all’altro, dalla cadenza veneta, a quella siciliana e napoletana, con una disinvoltura straordinaria. La tempistica e la presa sul pubblico sono perfetti e le storie offrono un quadro riconoscibile della difficoltà di interazione genitori-figli. E’ irresistibile il padre giornalista siciliano che pretende di spiegare ai suoi lettori, con uno stile tronfio e zeppo di citazioni classiche, il silenzio e la reclusione del figlio, che si comporta come un hikikomori (un termine giapponese che indica chi si ritira dalla vita sociale). Il parallelismo forzato con l’atarassia di ellenistica memoria è paradossale come l’evidente (ed esilarante) contrasto, su ogni argomento, con la moglie, evocata da pause eloquenti. La corda della commozione suona (è il caso di dirlo, perché sarà la musica a segnare la ripresa del dialogo padre-figlio) nell’umiltà e nell’inadeguatezza del padre di Alessandro. In dialetto veneto racconta ad uno psicanalista (e si immagina l’apporto dell’esperienza di Recalcati) la lontananza dal figlio che si vergogna di lui e la sua mortificazione. Anche lui evoca una moglie sempre presente, ma, in realtà, da anni emotivamente staccata e ostile. E’ separato invece il padre di Giada, giovanilista, festaiolo, preteso compagno di bisbocce della figlia adolescente. Il suo slittamento di ruolo desterà nella figlia il sospetto di molestie, generando finalmente in lui una battuta di arresto e di autocritica. Non è un tema nuovo, i modelli proposti sono facilmente riconoscibili, ma l’effetto è travolgente e la prova di Perrotta commuove, diverte, genera identificazione e, infine, lascia senza fiato per il valore aggiunto di una versatilità interpretativa eccellente.
AstiTeatro è un evento senza pari nella nostra zona e le occasioni per parteciparvi sono veramente tante, perché durerà sino a domenica 6 settembre. Oggi, lunedì 31 agosto, si inizia alle 18 con la replica dello spettacolo di Lorenza Zambon. Qui tutto il programma di oggi e domani
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