Autore Redazione
mercoledì
25 Novembre 2020
15:23
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Cronaca - Alessandria

“Oggi avresti 5 mesi, ma rappresentavi per me il frutto dello schifo del mondo”: la lettera di una donna vittima di uno stupro

“Oggi avresti 5 mesi, ma rappresentavi per me il frutto dello schifo del mondo”: la lettera di una donna vittima di uno stupro

ALESSANDRIA – Una lettera a un figlio mai nato. Una storia terribile. La lettera è arrivata alla redazione oggi pomeriggio, alle 14.52. È il racconto di una cittadina alessandrina vittima di uno stupro, rimasta incinta dopo la violenza subita. Siamo rimasti in silenzio per lungo tempo. La proponiamo così, senza aggiungere altre parole, perché non servono.

Se ti avessi tenuto, ora avresti 5 mesi.
Ma come potevo? Come potevo tenere il figlio di uno stupro?
Quel mostro travestito da angelo mi ha buttata sul letto e con 5 colpi di reni mi ha violentata e messa incinta. Mentre io correvo in bagno piangendo e cercavo di lavarmi per eliminare il più possibile di quella violenza, il mostro mi gridava “non lavarti, che così magari facciamo un figlio”.
Un figlio.
Un figlio frutto di un abuso.
Ma in quale atroce mente maschile può nascere un pensiero di tale aberrazione?
E mentre io piangevo e continuavo a lavarmi, il mostro è andato via. Dopo due settimane di lacrime e singhiozzi, nonostante l’età avanzata e la bassa probabilità di rimanere incinta di uno stupro, ho scoperto che ti aspettavo. Ma come potevo tenerti? Io che non avevo mai voluto figli. Come potevo imparare ad amare il figlio del mostro che mi aveva violentata?
Non ti volevo.
E avevo troppo timore che ti avrei odiato e di conseguenza distrutto la vita.
Tu, che non eri responsabile di nulla, rappresentavi per me il frutto dello schifo del mondo. Non voglio raccontarti dei singhiozzi continui mentre prendevo la decisione di abortire.
Una donna violentata si sente una nullità.
Una donna violentata che sceglie l’interruzione di gravidanza si sente una nullità umiliata.
E così, quel giorno, sono entrata in ospedale, con te dentro, e mi hanno dimessa alla sera, da sola.
Tu non c’eri più.
Non mi sono pentita della mia decisione, anche se brucia l’anima quasi ogni giorno. Brucia di rabbia per quello che ho subìto.
Brucia di rabbia perché non l’ho denunciato.
Ma se hai un cognome noto, in una cittadina di provincia, anche lo psichiatria ti consiglia di pensarci molto bene… perché si deve essere molto forti per sopportare le badilate di merda di chi ancora oggi valuta “come eri vestita”, “certamente te la sei andata a cercare”, “eh però sei tu che l’hai fatto entrare in casa”.
E io, forte, non lo ero affatto.
Poi, il mostro, l’ho incontrato di nuovo.
Era buio e non passava nessuno.
E mentre gli urlavo qualsiasi improperio sfogavo su di lui tutta la mia rabbia cieca. Io, che non uccido nemmeno una mosca, ero una furia che tirava schiaffi, pugni e calci finché il mostro non si è accasciato a terra ed io me ne sono andata via dicendogli di girare molto lontano dalla mia orbita perché ogni incontro casuale sarebbe finito nel medesimo modo.
Non so perché proprio oggi sto pensando a te.
Sei il figlio che non ho avuto e non avrò mai.
Ma non potevo tollerare il rischio di diventare, io, un mostro per te.
La mia vita è cambiata e non sarà mai più come prima.
Io sono cambiata e non sarò mai più quella di prima.
Ma, nonostante il dolore, so che ho fatto la scelta più giusta.
Per me. Ma soprattutto per te.”

Photo by Kristina Tripkovic on Unsplash

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