Autore Redazione
martedì
12 Gennaio 2021
13:50
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Cronaca - Alessandria

I social network e il silenzio imposto a Trump pongono nuove domande sul futuro dell’informazione

I social network e il silenzio imposto a Trump pongono nuove domande sul futuro dell’informazione

RADIOGOLD – Nel corso di questi anni, insieme al Direttore, ho raccontato, mi auguro, con leggerezza i fatti della Rete, ma negli ultimi mesi mi sono permesso di lasciare per iscritto qualche pensiero meno gioioso sui fatti che online si sono prodotti: qualche settimana fa abbiamo parlato della decisione del Giornale di Brescia di interrompere la pubblicazione delle notizie sulla sua pagina Facebook per i tanti insulti e commenti improntati all’odio ricevuti ed oggi non posso non condividere con voi ciò che penso della sospensione degli account di Donald Trump. L’assalto al Campidoglio americano e le successive decisioni prese dalle principali piattaforme di sospendere l’account di Donald Trump hanno senza alcun dubbio rappresentato fatti di grande importanza per la Rete, seguiti peraltro da decisioni altrettanto rilevanti come il ritiro della app di Parler, usata dai sostenitori del Presidente americano, dall’AppStore, e da Google Play Store e, da ultimo, l’interruzione dei servizi di web hosting grazie ai quali era online da parte di Amazon. Due argomenti, a mio avviso, sono da escludersi nonostante abbiano trovato molto spazio fra i commentatori, gli esperti e fra tutti coloro che hanno partecipato al dibattito successivo di qua e di là dall’Atlantico.

Il primo argomento è quello della censura. La lettura delle ragioni che hanno indotto, per esempio, Twitter a prendere una decisione senza precedenti non ha a che fare con la libertà di espressione, ma con la necessità di impedire ulteriori incidenti di cui la piattaforma aveva cominciato ad avvertire la preparazione per il 17 gennaio. Si può definire censura l’impedimento ad un’opinione di esprimersi, non a forme di incitamento alla violenza o, peggio, atti volti a produrla di compiersi. In questa direzione sono andate le spiegazioni di Twitter. I social media non sono il Web, ma – sotto l’ombrello protettivo della Sezione 230 – piattaforme che pubblicano contenuti di utenti di cui non sono responsabili e che ospitano in ragione di regole che possono portare a sospensioni, interruzioni e persino atti di “deplatforming” qualora, a loro avviso, siano trasgredite: l’incitamento alla violenza è la ragione addotta anche da Mark Zuckerberg per comunicare il blocco degli account di Donald Trump dopo mesi di interventi per segnalare come controversi o falsi i suoi post. Così come di censura alla libera espressione non si dovrebbe in questo caso parlare, nondimeno è opportuno sgombrare il campo dall’idea che solo di rapporti fra privati si tratti, senza che la diffusione e la rilevanza che i social media hanno assunto debba destare più di una preoccupazione per il funzionamento dell’informazione e della democrazia. Come è stato scritto da Stefano Epifani sul Rifomista “il punto non è se sia giusto o meno bannare Trump, ma il processo che legittima una azione del genere… il punto è capire se un’azienda, in virtù del fatto che ha fatto firmare un accordo di servizio, possa esercitare delle scelte in linea con questo accordo anche se è un’azienda che influenza le decisioni di miliardi di persone. Non basta dire che Facebook è un privato e di conseguenza all’interno della sua piattaforma il suo proprietario può fare quello che vuole. Perché se questo privato influenza le decisioni di miliardi di persone il suo comportamento va regolamentato e d’altro canto questo punto è proprio quello che sostiene Trump quando chiede che venga rivista la famosa sezione 230, secondo la quale i social network sono equiparati a operatori di rete e non ad editori. Zuckerberg in questo caso si è comportato da editore e come tale, seppur molto particolare, dovrebbe sottostare a regole che sono ancora da disegnare e che riguardano le modalità con le quali la piattaforma può moderare meno i contenuti prodotti dai suoi utenti“. Invidio coloro che, al termine di questa settimana, di fronte a quanto avvenuto, hanno delle solide convinzioni: se, nel merito, trovo che sia giusto che la Rete abbia fatto emergere degli anticorpi di fronte ad azioni illegali e pericolose, nel contempo avverto che, nel metodo, la concentrazione della quale è connotata l’organizzazione dell’informazione online richieda una più forte trasparenza quanto alle procedure di sospensione (o di mancata sospensione) di account e contenuti e quanto agli algoritmi che determinano in larga misura le notizie e i commenti che vediamo ed in base ai quali formiamo il nostro pensiero.

 

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