Autore Redazione
domenica
25 Aprile 2021
05:19
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Cronaca - Alessandria

La storia della liberazione in Piemonte vista attraverso la grande letteratura

La storia della liberazione in Piemonte vista attraverso la grande letteratura

ALESSANDRIA – Il 25 aprile si festeggia la Liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista. Istituita nel 1946, la assume un significato politico e militare, ed è simbolo della vittoria della Resistenza contro i regimi nazista e fascista. Fiumi di pagine di storia, celebrazioni, eventi. Ma anche tanta letteratura. Sono i modi per raccontare quel periodo, quella giornata, simbolo di una rinascita. Tra i molti autori classici che si sono occupati della Resistenza nel nostro territorio ci sono Cesare Pavese, Beppe Fenoglio e Primo Levi, tutti di origine piemontese.

Cesare Pavese nasce a Santo Stefano Belbo nel 1908; tra i tanti romanzi, ricordiamo per questa occasione La casa in collina, del 1948. All’interno dell’opera, l’autore indaga le conseguenze psicologiche e sociali della Seconda guerra mondiale e della Resistenza, a cui lo stesso Pavese non partecipa, preferendo rifugiarsi in campagna. Il protagonista del racconto è Corrado, un insegnante torinese, che per sfuggire alle bombe che stanno piovendo sulla città si rifugia in una casa in collina, abitata da Elvira e sua madre. In questo frangente, inizia a frequentare un’osteria, dove incontra un vecchio amore, Cate, che nel frattempo ha avuto un figlio, Dino. Gli eventi che si svilupperanno dopo l’arrivo di Corrado in collina porteranno il protagonista a riflettere sul senso della guerra e della Resistenza, ma senza trovare davvero una risoluzione.

Ora che ho visto cos’è la guerra, cos’è la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: “E dei caduti che facciamo? Perché sono morti?” Io non saprei cosa rispondere. Non adesso almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero”. Si tratta quindi di una confessione dal tono autobiografico che, oltre al disagio della condizione storico-politica che pretendeva scelte difficili e precise per il contraddittorio Pavese, esplicita anche il tormento personale: solitudine esistenziale e amorosa.

Beppe Fenoglio nasce ad Alba nel 1922; rispetto a Pavese, affronta la Resistenza con lucida oggettività. Due opere in particolare si occupano di questo tema: Una questione privata e Il partigiano Johnny.

Una questione privata viene pubblicato postumo nel 1963; il protagonista del racconto è Milton, un partigiano che per caso ritorna a vivere nella villa in cui viveva prima dello scoppio della guerra con la ragazza amata, Fulvia. Qui scopre che la ragazza, in sua assenza, si frequentava con un altro uomo, Giorgio, amico di Milton e anch’egli partigiano. La notizia suscitò in lui gelosia, così che decide di scappare per trovare Giorgio e capire che sentimenti ci fossero tra lui e Fulvia. In questo viaggio, Fenoglio lascia emergere durante il racconto la vita e le difficoltà dei gruppi partigiani. “Questa guerra non la si può fare che cosí. E poi non siamo noi che comandiamo a lei, ma è lei che comanda a noi”.

Il partigiano Johnny racconta le vicende di un giovane studente con la passione per la poesia inglese che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 ritorna a casa dai genitori ad Alba, occupata dai tedeschi. Prima, in città, nelle discussioni con il professor Chiodi e i suoi allievi sul senso di diventare partigiano, poi, “sul campo”, dove emerge il problema di appartenere a una collettività fatta di uomini diversi per estrazione sociale, provenienza geografica e convinzioni ideologiche: quella di Johnny è una storia di formazione. “Aleggiava da sempre intorno a Johnny una vaga, gratuita, ma pleased and pleasing reputazione d’impraticità, di testa fra le nubi, di letteratura in vita”.

Primo Levi nasce a Torino nel 1919; laureato in chimica e chimico di professione, diventa scrittore reduce dalla traumatica esperienza della deportazione ad Auschwitz. A differenza di Pavese e Fenoglio, Levi non racconta la liberazione, ma l’altra faccia della medaglia, la prigionia, prigionia che non finisce nemmeno dopo l’incubo dei campi di concentramento. Oltre al conosciutissimo Se questo è un uomo (1946), Levi è autore di moltissimi altri romanzi, tra cui I sommersi e i salvati, scritto nel 1986. L’opera segna il ritorno alla tragedia di Auschwitz, ma in chiave riflessiva. Sorretto dal proposito di voler rispondere alla domanda “quanto del mondo concentrazionario non ritornerà più?”, Levi approfondisce e raccoglie organicamente spunti, riflessioni e ipotesi interpretative prima formulate in modo frammentario, reimmergendosi nel clima di Auschwitz armato della sua ostinata ragione, per mettere in luce i segreti meccanismi storici, ideologici e psicologici che hanno prodotto i lager nazisti.

L’opera di carattere saggistico esamina la tipologia di prigionieri, per l’appunto i sommersi e i slavati. I sommersi sono i più deboli, quelli che sono stati sopraffatti, i più buoni. I salvati, invece – e qui Levi rovescia la teoria darwiniana – sono i più crudeli, coloro che hanno ricevuto qualche privilegio: la maggior parte dei salvati sono quelli che si inserivano nella “zona grigia”, dove il confine tra vittima e carnefice si fa più sfumato. Da qui si genera la vergogna di essere superstite, sentimento onnipresente: è impossibile sottrarsi alla sensazione di essere vivi per puro caso. Anche se Levi non parla della Resistenza, il suo lascito ci fa capire perché il 25 aprile è un giorno importante, ci fa capire perché è importante non dimenticare. “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto, può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre”.

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