18 Giugno 2021
16:13
Federazione Centri Aiuto alla Vita replica a Non Una di Meno: “Falso dire che facciamo sentire in colpa le donne”
PROVINCIA DI ALESSANDRIA – La Federazione dei Centri di Aiuto alla Vita e dei Movimenti per la Vita di Piemonte e Valle d’Aosta ha replicato alle considerazioni del collettivo “Non una di meno” di Alessandria, rispetto agli obiettori di coscienza nel nostro territorio.
“Su temi così importanti come l’interruzione volontaria di gravidanza credo sia sbagliato basarsi su fonti non ufficiali e verificabili, ma ci si debba rifare ai dati dell’annuale Relazione ministeriale, secondo la quale in Piemonte il 35,6% dei ginecologi e il 68,1% del personale medico nel suo complesso non sono obiettori” ha sottolineato Claudio Larocca, presidente della FederviPA “mi pare dunque che anche ad Alessandria i dati certi siano presumibilmente lontani da quelli riportati nell’intervista. Inoltre, nonostante i diversi articoli che spesso lanciano l’allarme obiezione di coscienza, negli ultimi anni la Relazione ministeriale ha sempre confermato che non si evidenziano particolari criticità nel servizio”.
“La nostra esperienza accanto alle donne che valutano l’aborto e a volte vi ricorrono, non rileva infatti alcuna difficoltà nell’accesso all’IVG. Piuttosto a volte si verifica per assurdo una difficoltà nel procedere con gli esami previsti, una volta che la donna decida di proseguire la gravidanza. Non è l’obiezione di coscienza a generare il ricorso al “fai da te”, ma tutta una serie di situazioni differenti che portano o obbligano la donna a non presentarsi in una struttura ospedaliera. Questo può riguardare sia la persona indigente, ma anche ad esempio la ragazza di una “famiglia benestante” che si vergogna della gravidanza indesiderata”.
“Noi spesso veniamo a contatto con storie drammatiche di solitudine e violenza che le strutture sanitarie ignorano, su cui nessuno si interroga e che potrebbero indurre ad aborti clandestini se non accolte, un fenomeno quest’ultimo che la relazione ministeriale stima dai 10.000 ai 13.000 casi ogni anno. Piuttosto dovremmo ammettere che su uno dei suoi obiettivi, sconfiggere l’aborto clandestino, la legge 194 ha fallito e con questa consapevolezza dobbiamo aggiornarci, rinnovarci, lavorare e non restare inerti perché ancorati a presunti diritti”.
“Difficoltà, ritardi, disagi” sono invece la quotidianità della donna che vorrebbe proseguire la gravidanza se solo ricevesse comprensione e aiuto in famiglia o all’esterno, ma si sente costretta a ricorrere all’aborto in assenza di alternative. Eppure la legge 194, che non garantisce norma alla mano un diritto di “decidere sul proprio corpo”, prevede che vengano messe in atto tutte le misure possibili, anche in collaborazione con associazioni di volontariato per rimuovere le cause che portino una donna a ricorrere all’aborto. Questo è esattamente l’obiettivo del nostro servizio e della determina della Regione Piemonte, ma purtroppo è evidente che molti opinionisti parlino della 194 senza averla letta o facendone un uso distorto e strumentale”.
“Ci accorgiamo che i commenti tradiscono una certa ignoranza anche in merito al nostro servizio che non vuole affatto indurre la donna “a cambiare idea”, ma fornire alternative e aiuti proprio perché al contrario non sia indotta ad abortire dall’assenza di sostegno pubblico e dall’indifferenza, con una preferenza alla nascita che ritengo condivisibile da tutti, ancor più considerando che la stessa legge 194 non equipara la scelta della nascita e la scelta dell’aborto. Non è assolutamente vero poi che nei nostri Centri venga “detto alle donne che non possono decidere di interrompere la gravidanza senza il consenso del compagno” e non è neppure vero che le nostre associazioni forniscano “sostegni pecuniari che si esauriscono in fretta e poi le donne vengono lasciate da sole”.
“I nostri aiuti coprono sin dalla gravidanza e almeno fino il primo anno di vita e spesso si spingono anche oltre e mai la donna viene lasciata sola, anzi spesso il rapporto di amicizia con i volontari prosegue anche per molti anni. Piuttosto sarebbe interessante conoscere i sostegni pecuniari e materiali forniti da “Non una di meno”. Mi auguro che non si limitino a spendere fondi e sovvenzioni nell’organizzare manifestazioni di piazza per fornire alle donne sempre e solo l’aborto. Falso e calunnioso è anche sostenere che dai nostri volontari “l’interruzione di gravidanza viene fatta vivere come una colpa, senza rispettare la libertà di scelta delle donne”.
“Diversamente dall’intervistata la nostra idea di libertà non si esaurisce nel libero accesso all’aborto ma si concretizza in aiuti, alternative e vicinanza umana capaci di ampliare il ventaglio di scelte e di non lasciare sola la donna in una condizione così complicata e delicata. Non facciamo mai sentire in colpa la donna per un’eventuale scelta di aborto, ma anzi ci capita spesso di rivederle e risentirle dopo perché sanno che possiamo comprendere e non sminuire il loro dolore, una ferita che un certo mondo, impegnato a gridare nelle piazze, non riconosce e non vuole vedere. Fino a che non capiremo che ogni aborto, soprattutto se evitabile con aiuti concreti, è un fallimento per tutti e di tutti, rimarremo chiusi in approcci ideologici che ricadranno sulla pelle di donne sempre più sole e dei loro figli a cui sarà negato il diritto alla vita, oggetto di specifica salvaguardia costituzionale, come precisato dalla Corte Costituzionale nella Sentenza n. 35 del 1997″.