Autore Redazione
mercoledì
9 Marzo 2022
13:05
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Cronaca - Alessandria

Un 8 marzo a Teatro con le donne e per le donne. Recensione di Ribelli

Ieri tantissimo pubblico, donne ma anche uomini, per lo spettacolo della Compagnia Stregatti a sostegno dell’associazione SIE Onlus
Un 8 marzo a Teatro con le donne e per le donne. Recensione di Ribelli

ALESSANDRIA – Ieri era l’8 marzo, la festa delle donne celebrata in tanti modi, e, tra questi, con l’espressione che più sublima e attualizza il ricordo, trasformandolo in vita e partecipazione: il Teatro. Al Teatro San Francesco la Compagnia Stregatti, che gestisce e anima il teatro dei frati da anni con stagioni teatrali e corsi di teatro per tutte le età, ha presentato “Ribelli”, uno spettacolo che parla di donne che hanno rotto gli schemi del loro tempo, imponendosi con la loro personalità nel campo maschile dell’arte. Sono storie che travalicano le epoche, perché ripropongono stereotipi penalizzanti che ancora persistono, nella nostra società, in un retroterra culturale e, in altre realtà, in modo ben più evidente e truce. Non a caso “Ribelli” sostiene l’associazione SIE (Solidarietà Internazionale ed Emergenza ) Onlus, che porta avanti progetti dedicati a donne in disagio sociale e/o vittime di violenza. In questo periodo il lavoro della SIE, ha spiegato la presidente Francesca Bravi prima dello spettacolo, si rivolge in particolare alle donne ucraine e i proventi di “Ribelli” sono stati un aiuto importante, grazie al numeroso pubblico di ieri e alla Compagnia Stregatti, che da anni collabora con l’organizzazione.

Le ribelli sono donne che hanno osato sfidare le convenzioni, hanno sofferto, hanno anche subito violenza, ma sono emerse per le loro qualità artistiche e sono ben presenti ancora oggi nella memoria collettiva. Stefania Cartasegna è un’Artemisia Gentileschi segnata dallo stupro ma forte e ben consapevole del proprio valore, lei unica tra i figli del famoso Orazio Gentileschi ad ereditare il talento pittorico del padre. Di indole vezzosa, ma altrettanto caparbia e indipendente, la Élisabeth Vigée Le Brun di Benedetta Pallavicino, ritrattista di Maria Antonietta nella Francia del ‘700. Noi spettatori ammiriamo i suoi volti incantevoli dall’incarnato luminoso, così diversi, ma altrettanto ipnotici dei chiaroscuri decisi di Artemisia, alla luce di una lettura che introduce alla bellezza come chiave di riscatto. E poi l’arte in cui si sublima l’amore tra l’affascinante e talentosa Berthe Morisot, una Giusy Barone luminosa in un abito nero, e Manet. Una storia che sa di eterno, la loro, forse mai totalmente realizzata a causa del precedente matrimonio di Manet, ma immortalata dai ritratti che lui le fece. Fieramente non ancora sposata fino oltre la trentina, Berthe/Giusy Barone è l’immagine dell’arte che celebra l’amore, l’intesa e un rapporto che travalica le circostanze. E’ un’eroina che si impone per il suo talento pittorico e il suo fascino, non riconosciuta ufficialmente in quanto pittrice neppure sul suo certificato di morte, eppure immortale.  Immortale, nella sua giovinezza spezzata ad Auschwitz, anche l’opera di Charlotte Salomon, interpretata da una candida e ardente Lorenza Neri. Tutta la sua vita è contenuta ne “Vita? o Teatro?”, la sua produzione artistica pittorica, musicale e letteraria, stipata in una valigia e scampata alla furia nazista. E’ la gioia di vivere, la giovinezza che lotta contro tutto, che perisce, ma risorge nel ricordo grazie all’arte.   La trasgressione si fa carne nella vita irriverente di Suzanne Valadon, amica e amante di Toulouse Lautrec e madre di Maurice Utrillo. Simona Gandini impone la sua Suzanne con un fare sfrontato e irresistibile, traccia la vita turbolenta di una donna che sfrutta con determinazione la sua bellezza, impara le tecniche pittoriche dai suoi amanti e diventa lei stessa un’artista innovativa, che dipinge da un punto di vista scevro dall’ammirazione e dal compiacimento maschile. Simona Gandini /Suzanne è tutt’uno con la sua arte provocatoria e svelata, è lontana anni luce dagli abbellimenti leziosi, perché è bella nel suo anticonformismo che fa di lei una donna libera, come nel suo ultimo autoritratto, che la rappresenta ormai anziana, ma fiera nella sua nudità.  Infine Frida Khalo, inconfondibile e di una nobiltà insieme antica e modernissima. Assunta Floris, vestita di rosso e coronata di fiori, diventa il corpo fragile eppure fermamente dominato dalla personalità fortissima della pittrice messicana, compagna di Diego Rivera. Frida è un simbolo di lotta: politica, contro le convenzioni e contro il dolore fisico che l’ha tormentata per tutta la vita. La sua personalità profonda e dolente è un fuoco che arde in un’esile donna e lei brilla sul palco come nella vita.

La regia di Gianluca Ghnò e Giusy Barone tratteggia un collegamento visivo e sonoro tra le diverse storie. Le vite confluiscono in ciò che hanno lasciato, nella bellezza delle opere che parlano delle loro autrici, mentre un tappeto sonoro di voci e mormorii dà una dimensione corale a vicende che non sembrano per nulla remote. Su tutto, la canzone messicana La Llorona, straziante e intensa, cantata meravigliosamente da Giusy Barone.  Uno spettacolo apprezzatissimo dal tanto pubblico che ha riempito il Teatro San Francesco per una festa della donna volta anche ad aiutare le donne.

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