Autore Redazione
giovedì
7 Aprile 2022
10:38
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Cronaca - Alessandria

Eternità ed ecologia. Recensione di “Sogno di una notte di mezza estate” all’Alessandrino

Grande successo di pubblico per l’allestimento shakespeariano della compagnia Progetto U.R.T. di Jurji Ferrini, inserito nella stagione teatrale organizzata dal circuito Piemonte dal Vivo e dal Comune di Alessandria
Eternità ed ecologia. Recensione di “Sogno di una notte di mezza estate” all’Alessandrino

ALESSANDRIA – “Shakespeare è eterno più che attuale”, ha detto Jurji Ferrini nell’incontro pomeridiano con il pubblico, prima della messa in scena, ieri 6 aprile, al Teatro Alessandrino, di “Sogno di una notte di mezza estate”, inserito nel cartellone della stagione organizzata dal circuito Piemonte dal Vivo e dal Comune di Alessandria. Ed è eterno, si potrebbe aggiungere, anche grazie ad un allestimento come quello della Compagnia Progetto U.R.T, che ha riempito l’Alessandrino ed è stata premiata da tantissimi applausi e acclamazioni finali. In scena  lo stesso Ferrini (anche regista) con Paolo Arlenghi , Maria Rita Lo Destro , Agnese Mercati, Chiara Mercurio, Federico Palumeri, Stefano Paradisi, Michele Puleio, giovani attori usciti dalla sua Shakespeare School insieme a Rebecca Rossetti, che nella stessa scuola è insegnante e che ha firmato le coreografie. “Sogno di una notte” riassume in sé una trama onirica, storie ed equivoci amorosi, magia che contamina le vicende umane e un piano popolaresco più ridanciano, creando una macchina teatrale perfetta che attraversa i secoli e, ogni volta, rivela aspetti nuovi. Sta proprio nel valorizzare certi spunti, oltre che nel ritmo imposto a quel flusso di endecasillabi, la chiave della regia di Ferrini, essenziale ma precisa nel valorizzare poesia, incanto d’amore, comicità, ma anche precisi messaggi.

La vicenda è nota: alla vigilia delle nozze del duca d’Atene Teseo e di Ippolita si svolgono le contrastate vicende amorose di due coppie di innamorati, che fuggono in una notte d’estate in un bosco fatato, dove una sgangherata compagnia di attori improvvisati si trova per provare una rappresentazione. La notte è permeata di magia e le vicende degli umani si intrecciano con quelle delle creature magiche e con i loro incantesimi, in un alternarsi di sonno e veglia.

La scenografia è essenziale, creata da sedie le cui lettere sugli schienali compongono parole, suggerimenti che sono linee guida. “Teatro povero” è la scritta che appare ad inizio spettacolo ed è un manifesto dell’intenzione registica: tutto è basato sulla parola, sul suo ritmo, sulla musica che si accorda con la voce, sui gesti coreografati che ora simulano una rissa ora una danza magica. E così le dichiarazioni d’amore (“giuro per l’arco più potente di cupido…”) sembrano ricalcare la partitura sonora di fondo, tratta, come tutta la colonna sonora dello spettacolo, dalle “Quattro stagioni” di Vivaldi realizzate da Max Richter. Così il climax litigioso tra i quattro innamorati appare come una danza intricata di corpi e la magia finale che li riconcilierà si trasforma in una coreografia giocata con le sedie, che compongono termini come arte e verità. Il movimento danzato, la partitura coreografata sono la veste della magia del folletto Puck/Rebecca Rossetti, che fluttua (e lo fa splendidamente) tra il mondo fatato e quello umano, creando caos e facendosi portatore di un messaggio ecologista contro la follia distruttiva degli uomini. Il tema si aggancia alla lite tra il re delle fate Oberon/Ferrini e Titania, che colpisce e danneggia la terra, invertendo le stagioni e disseminando deserti, per essere ripreso, nello splendido commiato di Puck, con la poesia di Mariangela Gualtieri intitolata «Nove marzo duemilaventi». E’ la speranza che domani si possa migliorare, che non sia vana la consapevolezza che “ci dovevamo fermare…Lo sentivamo tutti ch’era troppo furioso il nostro fare” che risuona nel finale, mentre sulle sedie si legge la dicitura non più di “Teatro povero”, ma di “Povero teatro”. E’ facile comprendere la frecciata lanciata da Ferrini: un giusto sostegno al teatro, che non dovrebbe essere così povero, potrebbe creare la cultura necessaria a non perpetrare gli errori fatti finora nei confronti del creato e degli altri uomini.  Uno Shakespeare da vedere, ben interpretato da un ottimo cast, con momenti di grande ilarità ma anche di grande lirismo, attualizzato al punto giusto e arguto sia nella sua vena ecologista che in quella (non nuova in Ferrini) polemica sul finanziamento alla cultura.

Il prossimo appuntamento con la stagione di Piemonte dal Vivo al Teatro Alessandrino sarà giovedì 14 aprile con “Zio Vanja” di Čechov con Giuseppe Cederna, Vanessa Gravina, Federica Bern, Pietro Bontempo, Ruggero Dondi,  Massimo Grigò, Elisabetta Piccolomini con l’adattamento e la  regia di Roberto Valerio.

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