Autore Redazione
sabato
18 Giugno 2022
11:59
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Cronaca

Tra cibo e memoria. Recensione di “La storia di Taborre e Maddalena” a Canelli

Tanto pubblico per il narratore-cantastorie Enrico Messina e il musicista Mirko Lodedo nell’anfiteatro naturale della Moncalvina alla stagione estiva “En plein air” del Teatro Balbo
Tra cibo e memoria. Recensione di “La storia di Taborre e Maddalena” a Canelli

CANELLI – “Un mondo senza memoria è come il giorno senza la notte, come la terra senza i frutti, come il mare senza i pesci, come un uomo senza ombra”. “La storia di Taborre e Maddalena” di e con Enrico Messina, in scena con il musicista Mirko Lodedo, parte da radici antiche e fa del raccontare un’arte che si sposa con la convivialità, passando per dialetti e tradizioni culinarie. Lo spettacolo, di Armamaxa Teatro, Casarmonica e Teatri Abitati – Residenza Teatrale di Ceglie Messapica, è stato presentato ieri, venerdì 17 giugno, nel nuovissimo anfiteatro all’aperto della Moncalvina. La collina e la frescura, i gradini dell’anfiteatro morbidi di prato, il tramonto di fronte e, alle spalle, l’ex fattoria didattica Moncalvina, sono un piccolo mondo affacciato sul verde e la prospettiva che si apre allo sguardo è una scenografia dalle mille possibilità. E’ in questo contesto rigenerante che si svolge la rassegna teatrale estiva “En plein air” del teatro Balbo, con la direzione artistica del Teatro degli Acerbi, che proseguirà domenica 3 luglio alle 21 con il circo contemporaneo della compagnia Nando e Maila ETS in “Kalinka”.

“Del raccontar mangiando” è il sottotitolo de “La storia di Taborre e Maddalena”, perché tutto si svolge a tavola, al suono della fisarmonica di Lodedo, autore delle musiche originali. Due amici mangiano insieme, discorrono, ricordano, mentre la convivialità diventa racconto, che trasporta nel tempo del “si cunta e si ricunta”. La favola è un mondo infinito, parte da un amore impossibile tra il figlio di un conte e la figlia di una sguattera e sfocia in quello del principe Taborre e della bella Maddalena, che custodisce in uno scrigno il seme della memoria e del senno. Raccontare significa non perdere la memoria, non rinnegare una ricchezza sedimentata per non spogliarsi di ciò che si è. Messina narra di un albero di pere, i cui frutti custodiscono “la memoria del mondo”, di un pastore che ha scavato il suo letto nel tronco del perastro e che, a sua volta, racconta la storia di un re e del suo popolo, che perdono il senno quando vengono rubati i frutti dell’albero magico. E perdere il senno significa malgoverno, balzelli esosi, sprechi, solitudine e individualismo, ovvero tutto ciò che fa capolino nei discorsi alla tavola dei due amici pugliesi, che a Canelli mangiano agnolotti del plin e vitello tonnato (dell’Osteria dei Meravigliati) e bevono i vini delle Cantine Bosca. Messina passa dal dialetto pugliese a quello astigiano, mentre descrive i piatti locali, con un effetto decisamente comico, per poi passare al vernacolo dei cunti popolari, che trasudano antichità e leggenda. Il cibo è trasversale, attraversa le epoche ed è tradizione. Questo il vero legame che permette al protagonista-cantastorie di passare dal mondo leggendario a quello odierno (con frecciate ironiche ben mirate), da una parlata all’altra, dagli agnolotti del plin ai biscotti all’amarena di Ceglie, offerti a fine spettacolo. La sua narrazione è pura arte, capace di divertire, incantare e schiudere mondi. Procede come un canto, diventa la prosecuzione della fisarmonica di Lodedo, confluisce nei suoni dello scacciapensieri e nelle note dell’armonica a bocca (suonati dallo stesso Messina) e poi entra nella parte più arcaica della memoria collettiva, quella che fin dall’infanzia si è aperta all’incipit “c’era una volta…”. E’ un gioco di flusso narrativo dove da un racconto ne scaturisce un altro, ma anche un gioco linguistico, irresistibile per chi lo ascolta quanto difficile da padroneggiare, dove prendono forma suoni onomatopeici e suffissi inventati, che creano una lingua colorita e popolaresca. Un cantastorie nel senso alto del termine, che narra cantando, semina memoria (come il pastore, come la bella Maddalena), attraversa le tradizioni e giunge al nostro tempo in una soluzione di continuità. Con lui discorre Lodedo, contraltare un po’ svagato e dissacrante, efficace nel mediare tra diversi registri, smorzare toni e riportare alla convivialità amichevole il flusso narrativo pirotecnico di Messina. Uno spettacolo che non si vorrebbe veder finire, che lascia tra incanto, riso e consapevolezza di un patrimonio irrinunciabile di memoria e tradizioni. Da seguire questa stagione estiva del Teatro Balbo di Canelli, una felice sintesi tra paesaggio e Teatro con la maiuscola.

La stagione è realizzata dal Comune di Canelli e Fondazione Piemonte dal Vivo in collaborazione con il Teatro degli Acerbi. Ha il sostegno della Fondazione CRT e della Fondazione CRAsti, main sponsor Fimer srl. Il programma estivo è legato al progetto del Teatro Balbo che ha visto come main sponsor Bosca e Arol SpA e dagli sponsor Enos srl, Banca di Asti, Cavagnino& Gatti Macchine Etichettatrici, DRC Costruzioni Generali srl e Punto Bere srl.

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