26 Giugno 2022
11:38
Passione, ira e ragione. Recensione di “Innamorati” al Teatro di Valmadonna
ALESSANDRIA – “La pazza gelosia che nella nostra Italia principalmente è il flagello de’ cuori amanti…”. La prefazione de “Gl’innamorati” di Goldoni diventa l’incipit di “Innamorati”, con la regia di Simona Barbero; suona come un monito e introduce in un mondo dove l’irrazionalità non riesce ad essere contenuta neppure dall’evidenza. “Innamorati”, tratto liberamente dal testo goldoniano, ha debuttato sabato 25 giugno nel tutto esaurito Teatro di Valmadonna ed è il riallestimento del lavoro conclusivo di un corso teatrale biennale, andato in scena quattordici anni fa al Teatro Comunale. Dopo anni e percorsi diversi i componenti del gruppo si sono quasi tutti riuniti, si sono rinominati Teatro Aperto e, forti delle diverse esperienze teatrali maturate nel tempo, hanno dato vita nuova a dialoghi antichi.
“Innamorati” racconta di incomprensioni, di rifiuto della ragione e di gelosia immotivata, in un microcosmo dove la follia non riesce ad essere arginata dai buoni consigli e dove chi impersona il senno si trova relegato all’impotenza. La scena è elegante ed essenziale, una porta di fondo permette ulteriori entrate e uscite improvvise, mentre i protagonisti sono abbigliati nelle stesse tonalità chiare e neutre, un tratto omogeneo di appartenenza al conflitto passione/ragione che li coinvolge. Al centro i due innamorati Eugenia/Miriam Marcolongo, incostante, provocatoria e caustica, e Fulgenzio/Francesco Mandia, passionale, iroso e intemperante contro la sua stessa intenzione. I loro dialoghi sono un crescendo di affondi, celano una violenza sottesa che sembra sempre sul punto di esplodere e di passare dalla dialettica al gesto, per poi evaporare in comicità. Proprio la prevaricazione, seppure nella chiave della commedia, segna la regia di Simona Barbero, che accentua il carattere bellicoso dei suoi innamorati. La parole di Goldoni danno voce ad equivoci e incomprensioni continui, ma qui diventano armi e accompagnano atteggiamenti minacciosi. Intorno ai due protagonisti un piccolo mondo borghese-decadente, impersonato da Fabrizia, la zia di Eugenia e della di lei sorella Flamminia/Alida Ciotti, la voce inascoltata della prudenza. Nelle vesti di Fabrizia una travolgente Giovanna Perlongo, che si appropria di un ruolo originariamente maschile (era Zio Fabrizio) e lo modella con una femminilità energica e tanto miope della situazione, quanto impositiva. La razionalità, in un contesto smaccatamente binario, è rappresentata, oltre che da Flamminia, dall’avvocato Ridolfo/Maurizio Pellegrino. La sua saggezza lascia spazio a momenti gustosi di sconforto e a lui, infaticabile risolutore di dissidi, la regia affida la chiusa finale. Al mondo borghese-aristocratico appartiene anche il Conte D’Otricoli/Pietro Tibaldeschi, pretendente di Eugenia, mentre a tutto ciò fa da contraltare il piano dei servitori Lisetta/Silvia Pivotto (anche Clorinda, cognata di Fulgenzio, motivo dell’insensata gelosia di Eugenia), Succianespole/Gianluca Pivetti e Tognina/Laura Petrozzi. Qui a dominare la scena è Lisetta, una Silvia Pivotto arguta, caciarona e perfettamente in parte, particolarmente godibile nella scena conviviale tra domestici, specchio degli eventi della stanza padronale accanto.
Tutto si risolve, come deve essere nella commedia. Passione e ragione confluiscono e i dualismi si ricompongono, in un finale che giunge dopo una corsa a ritmo sostenuto. Un allestimento brioso, che corre rapido e rimane aderente alla vena comica, pur nell’evidenza delle potenziali conseguenze dell’ira. I passaggi dal registro teso della minaccia alla smaccata comicità sono il segno di una lettura ben mirata di un testo che offre più chiavi di interpretazione. Decisamente un successo al Teatro di Valmadonna, c’è da chiedersi se Teatro Aperto potrà esibirsi un giorno al Teatro Comunale.