3 Febbraio 2023
05:37
Il Payback sanitario rischia di azzerare anche le imprese alessandrine e di “portare al modello americano”
CASALE MONFERRATO – La questione Payback sanitario tocca anche la provincia di Alessandria, coinvolta con diverse aziende nel rifornire ospedali e strutture della regione e non solo. La vicenda al momento è congelata ma gli imprenditori hanno sulla testa una spada di Damocle che rischia di decapitare un intero settore. Si tratta di un sistema di compartecipazione delle imprese allo sforamento dei tetti regionali di spesa sanitaria e in sostanza le aziende fornitrici di dispositivi medici dovranno adempiere all’obbligo di ripianamento del superamento del tetto di spesa delle Regioni. Un conto salatissimo. Pochi mesi fa, infatti, sono state già presentate le cifre relative agli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, gettando nel panico tutti gli imprenditori. Ora dovranno provvedere ai pagamenti in favore delle singole Regioni e Province entro il 30 aprile prossimo, e non il 31 gennaio come originariamente previsto, ma la questione è solo rimandata.
Tra le aziende in apprensione c’è la casalese Polymed. “A noi hanno chiesto già 800 mila euro per gli anni dal 2015 al 2018 e tenga presente che io sono amministratore delegato anche di Gbs, che dovrà a sua volta versare 400 mila euro – spiega il Presidente di Polymed Aldo Maria Berutti. Siamo una ditta sana e in tutta la nostra storia non abbiamo mai visto una cosa del genere“. La rabbia dell’imprenditore è che con questa norma “si vuole far pagare ai privati le mancanze di chi si occupa della gestione delle spese sanitarie. Se questa linea dovesse andare avanti nessuna società sarà in grado di stare in piedi“. Il problema ulteriore, aggiunge Berutti, è che se le cose non cambieranno non saranno solo gli imprenditori a poagare il prezzo ma anche i cittadini: “Noi rivenditori – continua Aldo Maria Berutti – portiamo innovazione con le nostre apparecchiature ma se il Governo non fa un dietrofront tutta la sanità pubblica crollerà”. La norma è stata ideata durante il governo Renzi nel 2011, poi rivista e adottata dal governo Draghi, ma è venuta a galla solo dopo, spiegano ancora le aziende, che improvvisamente si sono ritrovate con i conti all’aria.
“Questo scenario mette a repentaglio l’intero settore portando le aziende al fallimento perché il payback richiesto supera di gran lunga il 50% del fatturato – ha raccontato a RadioGold Anna Maria D’Aguì, vicepresidente di Pmi Sanità. Se oggi le aziende dovessero pagare davvero il risultato sarebbe che 10mila imprese nazionali sarebbero costrette alla chiusura”.
Una situazione che non avrebbe una ratio ragionevole, ha aggiunto la vicepresidente perché “il legislatore ha pensato di applicare quanto accade nel settore farmaceutico ma si tratta di ambiti diversi perché si ha a che fare con le multinazionali e sempre sulla base di accordi. Qui invece è stato deciso unilateralmente di far pagare le aziende dal 2015, all’oscuro della categoria“. Il Tar doveva pronunciarsi sui ricorsi, oltre mille quelli avanzati dalle aziende del settore, il 17 gennaio ma tutto è stato differito ad aprile, in attesa di capire come si muoverà il Governo per cercare di trovare una soluzione.
Il tema vero però è che “purtroppo i governi non stanno investendo sulla sanità. Quello che veniva speso 10 anni fa è uguale a quanto si fa oggi. È come se dicessi a mio figlio, che ha 23 anni, di indossare un vestito di quando ne aveva 10. Se non ci saranno investimenti i cittadini andranno in ospedale senza trovare dispositivi medici adeguati per essere accurati“. Il risultato finale che sembra sempre più evidente, sostiene Anna Maria D’Agui è che “la sanità in Italia sta guardando sempre di più al sistema americano“. La sanità pubblica, in pratica, si sta assottigliando sempre di più a vantaggio di quella privata e non è un caso che le Regioni con uno scostamento di spesa minore rispetto al tetto sanitario previsto siano quelli con maggiori presenze private. Al contrario, tra quelle che presenteranno un conto più alto troviamo proprio il Piemonte, sempre tra le prime 5 regioni con scostamenti maggiori (101.005444 nel 2015, 100.558.309 nel 2016, 107.376.860 nel 2017, 122.827.501 nel 2018), insieme a Veneto, Emilia Romagna, Puglia e Toscana.