3 Febbraio 2023
10:48
La solitudine de “Il malato immaginario” al Teatro Alessandrino
ALESSANDRIA – “Ogni essere umano si ammala nel momento in cui viene al mondo”. Sono la brevità della vita e la sua solitudine la chiave di lettura dell’allestimento de “Il malato immaginario” della Compagnia Molière La Contrada-Teatro Stabile di Trieste in collaborazione con Teatro Quirino – Vittorio Gassman, con l’adattamento e la regia di Guglielmo Ferro. Lo spettacolo, presentato ieri 2 febbraio al Teatro Alessandrino, è stato il terzo e seguitissimo appuntamento della stagione di prosa del Comune di Alessandria in collaborazione con Piemonte dal Vivo. Il cartellone proseguirà il 23 febbraio con “Da lontano”, atto unico che Lucia Calamaro, drammaturga e regista, ha scritto pensando espressamente alla sua protagonista e interprete Isabella Ragonese. L’11 febbraio inizierà invece il “Segmento Off” della stagione, con tre spettacoli di realtà teatrali locali. Saranno in scena il Teatro della Juta Commedia Community e Onda Larsen con “Manuale illustrato di giornalismo”, spettacolo scritto e diretto da Luca Zilovich con musiche originali di Raffaello Basiglio.
Con “Il malato immaginario” Molière irrideva le ipocrisie del suo tempo, l’avidità e la superstizione per una disciplina medica che si basava solo sulla credulità. Di questo testo legato alla vita e alla morte del suo autore (che morì poco dopo una sua replica), rimangono i meccanismi comici, l’arguzia e il dramma umano. La regia di Guglielmo Ferro presenta una scena (di Fabiana Di Marco) dominata da una torre-scaffale dai ripiani colmi di medicinali. La torre domina isolando ed è questo il mondo di Argante, interpretato da Emilio Solfrizzi: una realtà parallela dove il tempo è scandito dai clisteri e le relazioni umane e familiari sono misurate dall’attenzione alla sua inesistente malattia. E’ un malato immaginario comico nella sua assurdità, ma amaro nella sua duplice paura, da un lato, di vivere pienamente e, dall’altro, di morire. Intorno a lui una pletora di approfittatori: dalla seconda e avida moglie Bellania (Antonella Piccolo), ai medici truffatori (Sergio Basile nella doppia veste del dottor Diaforetico padre e del dottor Purgone), al notaio Bonafede. La malattia diventa attaccamento ad una forma di vita insana, egoistica e basata sulla pretesa, uno strumento per legare a sé le persone. Argante vuole imporre alla figlia Angelica (Viviana Altieri), innamorata di Cleante (Cristiano Dessì), il matrimonio con il grottesco Tommasino, inetto medico figlio del dottor Diaforetico, e qui ha origine una serie di intrighi, ad opera della serva Tonina, che ristabiliranno il buon senso.
Intorno a Solfrizzi, abbigliato di bianco come un Pulcinella lunare (specie quando le luci virano al blu) in bilico tra la vita e la morte, girano personaggi caricaturali, spesso farseschi nelle movenze e nella dizione enfatica. A loro si contrappongono quelli più realistici (oltre a Tonina, Angelica, Cleante, la figlia minore Luigina/Cecilia D’Amico e il fratello di Argante, Beraldo), attori vivi di un mondo illuminato da ragione e sentimenti. Come maschere sfilano il notaio (Rosario Coppolino, anche nelle vesti del fratello di Argante), caratterizzato da una parlata siciliana, quasi da consigliori, che ne accentua l’equivocità, e il Tommasino di Luca Massaro, un clown triste e persino inquietante nella sua insensatezza. Il pubblico si adagia e si diverte durante il duetto tra il notaio e Argante nella scena del testamento, un chiaro riferimento alla lettera di Totò e Peppino, per arrivare ai momenti di maggiore ritmo, dove inganni ed equivoci fanno scaturire la forza comica del testo. Spicca la schiettezza naturale della Tonina di Lisa Galantini, che regala momenti di fresca ironia, ammicca al pubblico, si traveste da medico, sproloquiando in simil spagnolo misto a latino goliardico, e imprime ritmo con la sua sola presenza. Tutto si conclude come da commedia, mentre Argante/Solfrizzi rimane, in un collegamento ideale con l’incipit, di nuovo solo in scena con il suo mal di vivere, nel quale “ad essere immaginaria è la salute”. In mezzo a delle bambole, che calano dall’alto come un surrogato di medici e familiari, non gli resta che constatare che “qui mi lasciano sempre solo”. Un allestimento fedele, sfarzoso nei costumi, che ricalcano l’epoca dell’originale, e nella scenografia, recitato da un cast di bravi attori che, soprattutto nelle scene più corali, spingono il ritmo alla giusta resa comica. Forse il testo poteva essere un po’ sfrondato e il taglio registico poteva osare di più in originalità, magari con un accompagnamento musicale maggiormente marcato, ma, nel complesso, uno spettacolo molto apprezzato e applaudito dal numerosissimo pubblico in sala. La stagione di prosa del Comune di Alessandria è un successo evidente e non potrebbe essere più seguita.