19 Agosto 2023
11:39
L’incanto come chiave di lettura. Recensione di “La luna e i falò” a Coazzolo
COAZZOLO – L’anfiteatro naturale si affaccia sulle colline e sembra di vedere altre colline non lontane e raccontate da Cesare Pavese ne “La luna e i falò”. Ieri, venerdì 18 agosto, al festival “Paesaggi e Oltre Teatro e musica d’estate nelle terre dell’Unesco”, promosso dalla Comunità Collinare Tra Langa e Monferrato, con la direzione artistica e organizzativa del Teatro degli Acerbi, Luigi D’Elia ha presentato, davanti ad un pubblico di circa trecento spettatori, “La luna e i falò. Time never dies”. Paesaggi e Oltre, con la serata di ieri, ha superato le 1400 presenze ed ha in programma un ultimo appuntamento: sabato 2 settembre a Montegrosso sarà in scena il concerto sinoiro di Tecnologia Filosofica dal titolo “Ogni cosa a suo tempo”. Tutte le info su teatrodegliacerbi.it.
“La luna e i falò. Time never dies” è una riscrittura del romanzo di Pavese dello stesso Luigi D’Elia con il regista Roberto Aldorasi, con la Compagnia INTI e la collaborazione della Fondazione Cesare Pavese di Santo Stefano Belbo ed è stato preparato l’anno scorso in una residenza alla Casa degli alfieri di Castagnole Monferrato. D’Elia è conosciuto dal pubblico di Paesaggi e Oltre per aver portato nella scorsa edizione del festival il suo pluripremiato Moby Dick, dal romanzo di Melville, tradotto tra l’altro da Pavese, una vera rete di legami tra il suo teatro, lo scrittore di Santo Stefano Belbo e i luoghi astigiani. Nell’anfiteatro di Coazzolo l’attore-autore pugliese narra, dà voce ai personaggi pavesiani, li arricchisce di una gestualità precisa e ne mette a fuoco l’interiorità. Sembra di arrivare con lo sguardo alla Gaminella, di vedere i falò sotto la luce della luna, mentre si delineano passato e presente. La luna e i falò racconta del ritorno, dopo tanti anni trascorsi in America e dopo la fine della seconda guerra, di Anguilla (poi chiamato l’Americano) nel paese della sua infanzia e prima giovinezza. Qui ritrova Nuto, l’amico ed ex partigiano, e Cinto, un ragazzo storpio che vive nella sua vecchia casa e nel quale finirà per rispecchiarsi. Il protagonista, un ex trovatello allevato in cambio di un pegno mensile in una casa misera (la Gaminella) e poi servo presso una casa borghese, abitata da giovani donne eleganti e inarrivabili, ritrova una realtà apparentemente identica, ma ormai mutata e straniante, stravolta dalla recente guerra civile. Nella riscrittura di D’Elia la storia è contenuta in una ciclicità di partenza e ritorno, necessità di vita e morte amalgamati da un elemento magico e da una tessitura musicale che tutto comprende. C’è l’elemento plumbeo della guerra civile, delle sue vendette e dei tanti morti che emergono dalla terra, c’è il primo amore segreto di Anguilla (nel monologo è Silvia, bella e inaccessibile). Ci sono i falò, mutati da rito propiziatorio a simbolo mortifero, e c’è la luna, forse l’unica realtà immobile. Soprattutto c’è un’atmosfera magica trasfigurante, dove “i conigli arrivano con la luna, scavano la terra e fanno uscire tutti i morti”. L’Americano rivede se stesso in Cinto, vittima di un padre violento per “la rabbia e lo sfinimento di una vita senza sfogo”. Il ragazzo, nel lavoro teatrale, diventa ponte con un mondo invisibile, evoca i conigli e danza una coreografia onirica che apre e chiude il cerchio vitale della partenza e del ritorno. “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”, per accorgersi che è tutto passato e per andarsene ancora. “Time never dies”, il sottotitolo del monologo, rivela l’anima salvifica di questa libera riscrittura del romanzo pavesiano, che emerge in un finale di eterna partenza e di eredità del ritorno. Uno spettacolo denso, che contiene i tantissimi temi de “La luna e i falò”, li traduce in linguaggio teatrale, li modella in immagini che si svolgono e si sovrappongono come tanti piani temporali e mentali. Su tutto, un’interpretazione di grande intensità, degna del miglior teatro di narrazione e capace di trattenere i tanti spettatori in un tempo sospeso e comune. Sorprendere con un classico della letteratura, per giunta nato e intriso di memoria dei nostri territori, non è semplice, ma la chiave di lettura incantata e i tanti registri, dal realistico all’onirico, padroneggiati da Luigi D’Elia, ci riescono pienamente e il riscontro entusiastico del pubblico lo dimostra.