Autore Redazione
sabato
26 Agosto 2023
09:55
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Cronaca

L’Opera dei teatranti. Recensione di “Traviata” a Bruno

Un successo l’ultimo spettacolo del Teatro degli Acerbi alla rassegna “Teatro in Terra Astesana”
L’Opera dei teatranti. Recensione di “Traviata” a Bruno

BRUNO – Uno spettacolo nuovo e antico, tra prosa, lirica e poesia, il nuovo lavoro de Il teatro degli Acerbi, ispirato a nientedimeno che alla Traviata di Verdi, una delle opere liriche più iconiche. “Traviata” è stato presentato ieri 25 agosto a Bruno nell’ambito della rassegna “Teatro in Terra Astesana” del Teatro degli Acerbi, sostenuta dalla Fondazione CRT e con sponsor la Banca di Asti, nel parco del castello Faa di Bruno, panoramico e dominato dalla mole dell’antico edificio. Un’occasione, preziosa e accolta da un pubblico numerosissimo, anche per visitare un luogo solitamente chiuso al pubblico e aperto per l’occasione grazie all’ospitalità dei proprietari. L’appuntamento successivo con la rassegna sarà venerdì 1 settembre alle ore 21 a Vesime nel B&B Mamota al bosco delle acacie con lo spettacolo “Il testamento dell’ortolano” con Massimo Barbero, da un racconto di Antonio Catalano. La facciamo”: inizia così “Traviata”, con un’asserzione persino velleitaria, riferita alla volontà di mettere in scena un’opera colossale da parte di tre (solo tre) teatranti, senza ricche scenografie, senza sostanzialmente nulla e senza neppure una preparazione lirica. E’ un viaggio nel potere immaginifico del teatro, supportato solo dai protagonisti e da una storia potente da raccontare. In scena, Fabio Fassio (anche autore del testo e regista, (insieme all’assistente alla regia Federico Gheduzzi), Andrea Caldi e Elena Romano, vestiti con abiti rattoppati da artisti di strada (di Sofia Crepaldi). Accanto a loro un carretto carico di sgabelli, un baule, cuscini, tutti oggetti (a cura di Agnese Falcarin) che man mano diventeranno altro e si comporranno come pezzi di un mondo. Il carretto fa pensare alla tradizione dei carri di Tespi, presente anche nel tono giocoso, nella vorticosità della messa in scena e nella certezza a prescindere del potere evocativo del teatro. Dunque teatranti poveri e appassionati, alle prese con ristrettezze e animati dalla passione per un’opera dove amore e morte, ipocrisia borghese e sentimento imprescindibile si scontrano e arrivano ai loro vertici assoluti. La contestualizzazione metateatrale è priva di luogo e di tempo, mantiene un registro divertente e bonario, traduce versi che appaiono, quando privati della musica, lontani e un po’ oscuri. Il taglio registico mira a seguire il libretto operistico originale, a mantenere, sia pur con un arrangiamento leggero, il canto dal vivo e a trasporre interi brani in prosa, sul tappeto sonoro delle equivalenti arie liriche. Elena Romano è Violetta e Andrea Caldi, che spicca per preparazione musicale, è Alfredo. Entrambi sono anche attori che provano, spostano scenografie, commentano e discutono, passano dai toni melodrammatici dell’opera ad un registro decisamente divertente, perché, si sa, il dramma è efficace quando esiste anche il suo contrario. Intorno a loro un Fabio Fassio che si prodiga in tanti ruoli e si moltiplica a creare una folla. Interpreta il moralista padre di Alfredo, la servetta di Violetta, con un’inevitabile vena comica, i vari invitati alle feste dove si innalzano i famosi calici resi immortali da Verdi. La sua regia risulta particolarmente felice in alcuni momenti coreografati come il coro delle zingare e dei matador, dove la combinazione tra gestualità e musica è perfetta. Un po’ meno perfetta la performance canora in generale, ma anche questo rientra nell’intento registico dichiarato, ovvero “cantare non come cantanti, ma come attori”. Buona invece la scelta di sovrapporre alle liriche di fondo il testo originale in forma recitata e, forse, è proprio questa la forma che dovrebbe prevalere sul cantato dal vivo, volendo fare un appunto. Rimangono la forza di una storia d’amore, l’ipocrisia della società e la forza di opporvisi, temi di ogni tempo che ci hanno preceduto e ci sopravviveranno. Non da questi, ma dalle parole usate per esprimerli ci siamo allontanati (“oggi usiamo parole fluide e asterischi”) e, in questa direzione, la scelta di mescolare diversi registri e di far agire i protagonisti nelle vesti di teatranti popolari risulta azzeccata. La Traviata c’è tutta e tre attori l’hanno fatta.

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