Autore Redazione
giovedì
28 Marzo 2024
05:22
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Cronaca - Alessandria

“Come chiedere a un cuoco di friggere senza olio”: direttore Solvay su stop al C6o4. “Non è una vera minaccia”

“Come chiedere a un cuoco di friggere senza olio”: direttore Solvay su stop al C6o4. “Non è una vera minaccia”

ALESSANDRIA – Si è parlato di Pfas durante l’ultima convocazione congiunta delle Commissioni Cultura e Sicurezza e Ambiente di Alessandria, dedicata alla presentazione del nuovo Centro di Ricerca e Sviluppo per il Risanamento e la Protezione Ambientale, un progetto finanziato da Solvay (oggi Syensqo, ndr) con 5 milioni di euro destinati all’Università del Piemonte Orientale. Al termine della relazione del professor Leonardo Marchese, il responsabile scientifico del centro, il presidente della Commissione Sicurezza e Ambiente, Adriano Di Saverio, ha chiesto al direttore dello stabilimento Solvay di Spinetta Stefano Colosio se in questo progetto “c’erano anche prospettive per ridurre l’impatto ambientale dei pfas emessi e che inquinano aria e acqua. Gli ultimi dati di Arpa sulle centraline dell’aria non sono particolarmente consolanti”.

“Il Pfoa è stato inventato nel 1960, era prodotto da 3M, DuPont, Chemours e Miteni” ha sottolineato il direttore Stefano Colosio (foto in basso) “Solvay lo ha acquistato per utilizzarlo come coadiuvante di polimerizzazione, è solubile in acqua quindi al momento inquina la falda. Dal 2013, sette anni prima della sua messa al bando, non viene più utilizzato da Solvay. La messa in sicurezza operativa che riprende l’acqua della falda e la depura è tuttora un mezzo per purificare il terreno, è chiaro che ci impiegherà un po’ di tempo ma per il momento è l’unica tecnologia che abbiamo a disposizione. Contemporaneamente anche i nuovi Pfas (l’Adv e il C6o4) vengono eliminati progressivamente dal terreno con la stessa metodologia. Il C604 è tuttora in uso ma con le prospettive di abbandonarlo al 99% alla fine del 2026. Abbandonare un coadiuvante di polimerizzazione non è qualcosa di banale. Sarebbe come chiedere a un cuoco di fare fritture senza olio. È possibile, esistono delle friggitrici ad aria ma non è facile farlo. Noi ci impiegheremo un certo tempo ma siamo assolutamente impegnati a eliminare questo coadiuvante fintanto che le nuove tecnologie ce lo permettono. La ricerca, infatti, non ci dà ancora la possibilità di eliminare altri prodotti. Abbiamo bisogno dell’Università perché non per tutti gli inquinanti nel sottosuolo di Spinetta c’è una tecnologia evidente, chiara e pratica per arrivare a una bonifica completa del terreno: la barriera idraulica ha un effetto positivo ma non ancora risolutivo sull’inquinamento del sottosuolo. Se fosse possibile sviluppare le tecnologie per accelerare i tempi di questa bonifica saremmo contenti: è preferibile essere su un terreno bonificato piuttosto che avere una attività economica su un terreno sospettato, in alcuni non è stato solo un sospetto, di produrre effetti negativi per le comunità attorno a noi. Investire questi 5 milioni è necessario per arrivare alla conclusione di questo percorso che avrà bisogno di molti anni per essere eseguito”.

“Dal 2005” ha aggiunto il direttore Colosio “è in vigore in Europa il regolamento Reach che ha messo ordine nella commercializzazione dei prodotti chimici già in commercio. Ogni azienda che inventa una nuova molecola deve chiedere l’autorizzazione all’Echa (l’Agenzia europea delle sostanze chimiche, ndr) prima di metterla in commercio. Echa, a seconda delle circostanze, impone un protocollo di ricerca esaustivo per verificare che questo prodotto sia classificato opportunamente, a seconda della sua tossicità e pericolosità. L’estensione di questa ricerca dipende dalla quantità di sostanza che si vuole commercializzare. Sul c6o4 sono stati fatti studi, a disposizione degli enti pubblici, e non è stato classificato come una sostanza chimica particolarmente nociva. Il c6o4 è ampiamente meno nocivo del suo predecessore: il Pfoa. Per certi versi, quindi, ci stupisce questa avversione dell’opinione pubblica rispetto a una sostanza chimica che non ha molte delle caratteristiche che avevano i suoi predecessori. Tutti i Pfas hanno la comune caratteristica di non essere biodegradabili: di per sé non è molto strano visto che non sono biodegradabili anche i metalli pesanti e gli idrocarburi ma li utilizziamo comunemente, ad esempio per fare il pieno di benzina. Quello che può essere preoccupante per il Pfoa è un’altra sua caratteristica: è bioaccumulabile. Nel biomonitoraggio dei nostri dipendenti che fino al 2013 hanno utilizzato il pfoa abbiamo osservato che la sua concentrazione nel sangue impiega 4 anni a dimezzarsi. Condividiamo pienamente la risoluzione dell’Echa che lo ha bandito. La concentrazione di C6o4 nel sangue, invece, si dimezza in tre giorni: il c6o4 è un prodotto radicalmente meno preoccupante. Abbiamo deciso di dismetterlo perché è avverso all’opinione pubblica, non perché rappresenti dal punto di vista ambientale una vera minaccia. Pensiamo, comunque, che la dismissione entro il 2026 della maggior parte delle produzioni sia di conforto per tutti. L’obiettivo è anche avere un trattamento possibilmente a ciclo chiuso delle acque provenienti da quell’ultima lavorazione di sostanze particolarmente difficili da realizzare senza c604, per le quali la ricerca è ancora al lavoro per trovare delle soluzione. L’eliminazione all’origine dell’utilizzo di queste sostanze chimiche è la risposta più concreta nel limitare il loro impatto ambientale”.

“Parlando di bonifica dello stabilimento” ha continuato il direttore di Solvay Colosio “per noi la cosa più importante è tenere conto della grossa contaminazione avvenuta tra il 1930 e il 1970, quella del cromo esavalente, una sostanza chiaramente cancerogena che si diffonde facilmente nell’acqua di falda. Nonostante non abbiamo obblighi di legge (l’unico obbligo è la messa in sicurezza operativa) abbiamo deciso di intraprendere questa bonifica per far sì che la comunità locale possa essere sollevata da un grosso problema ambientale, con le ripercussioni sulle generazioni a venire. Per messa in sicurezza operativa intendiamo la barriera idraulica: abbiamo comunque l’obbligo di evitare che gli inquinanti del passato si diffondano nella falda e quindi nel territorio. Per questo stiamo spendendo circa 4 milioni di euro all’anno, oltre all’investimento iniziale per gli innumerevoli pozzi per l’estrazione dell’acqua. Quando si parla di bonifica molti pensano che sia qualcosa di decodificato, in realtà non è vero: la bonifica da inquinamento è tuttora un tema che ha bisogno di ricerca e sviluppo, non si tratta di tecnologie consolidate. La bonifica attuale del cromo 6 in funzione avviene grazie agli sviluppi della ricerca che provengono dall’Università Piemonte Orientale, col ditionito di sodio che utilizziamo largamente con grandissimi risultati. Abbiamo bonificato il 60% del cromo del territorio. A fronte a problemi così importanti, visto che le risorse tecnologiche conoscitive non sono sufficienti, ci è sembrato necessario dare un apporto intellettuale a un ente come l’Università Piemonte che si è già distinto per essere in grado di sviluppare procedure che possono essere messe in pratica, in modo che il territorio e lo stabilimento ne potranno beneficiare. Abbiamo messo a disposizione 5 milioni di euro per questa iniziativa di ricerca, col valore di produrre tecnologia e persone qualificate che possono essere impiegate nella pratica di queste operazioni che durano decenni. Stiamo bonificando da oltre 10 anni e la prospettiva è non terminare in tempi brevi. Per eseguire la bonifica dal cromo 6, in particolare, Solvay ha bisogno di una autorizzazione speciale per effettuare una serie di cicli annuali. Viene proposto ad arpa un piano dettagliato di intervento. Propongo ogni anno un confronto con voi per fare il punto sulla bonifica, insieme ad Arpa”.

“Il pfoa è stato dichiarato sicuramente cancerogeno dalla Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro” le osservazioni del presidente della Commissione Sicurezza e Ambiente Adriano Di Saverio “è stato dismesso dal 2013 ma purtroppo dalle ultime analisi fatte della Regione su cibi come uova, latte e verdure in zone circostanti al polo chimico è stato riscontrato in quantità elevate. Come mai? Vero che ora col c6o4 è stato fatto un passo avanti visto che si tratta di una sostanza più facilmente metabolizzabile ma ci sono parecchie ricerche a livello medico e ambientale anche su questo tipo di pfas che testimoniano alterazioni del sistema immunitario ed endocrino nelle cavie da laboratorio testate col c6o4. Il problema è piuttosto articolato e complesso“.

“Questa classificazione del Pfoa come sostanza cancerogena non è stata recepita dall’Echa: evidentemente ci sono ancora dei dubbi” ha replicato il direttore di Solvay Stefano Colosio “così come altri studi sul c6o4 non hanno ancora prodotto alcun cambio nell’etichettatura e nella classificazione di questo pfas. Ci possono essere tanti studi variegati con diverse interpretazioni ma alla fine devono convergere in una norma cogente che tutti possono utilizzare allo stesso modo. Rispetto all’ubiquità del Pfoa ringrazio molto il programma PresaDiretta per il reportage: è stato dimostrato il fatto che moltissime aziende utilizzano il Pfoa. Lo utilizzano i Vigili del Fuoco come schiumogeno, è una sostanza contenuta nella carta per confezionare alimenti, nelle concerie, nell’agricoltura. Il fatto di trovarlo nelle matrici alimentari è il risultato di questa ubiquità”.

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