6 Dicembre 2025
06:35
Il futuro di Alessandria dipende dalla battaglia tra il “mugugno” e l’orgoglio alessandrini
ALESSANDRIA – Cos’è l’Alessandrinità forse nessuno lo sa o forse è un concetto che non esiste oppure è un mood che non sappiamo nemmeno di avere appiccicato comunque addosso. Il confronto su questo tema, organizzato a Palazzo Monferrato ad Alessandria martedì 2 dicembre, ha provato a indagare le caratteristiche degli alessandrini e della città per guardare più in là e immaginare il suo futuro possibile. Difficile in effetti tracciare il profilo di cittadini che, paradossalmente, spesso appaiono quasi compiaciuti nel soffermarsi sui difetti anziché sulle qualità. Uno dei pregi degli alessandrini infatti è sempre stato la capacità di essere autoironici, caratteristica nel tempo trascesa nel sarcasmo e sempre più spesso nel cinismo. Un “mugugno“, per dirla alla ligure, che finisce per avvitarsi su sé stesso e, come ha detto il giornalista Roberto Gilardengo, ex direttore del Piccolo, concedere spazio a tanti “vuoti” poi non più riempiti. Il passato importante ma anche ingombrante dei Borsalino, mecenati generosi, ha rappresentato, per esempio, un modello imponente ma praticamente impossibile da replicare e quindi ritrovare. Il grande passato militare che aveva animato la città è evaporato, per non parlare della centralità di Alessandria rispetto ai tre poli industriali di Milano, Torino e Genova.
L’alessandrino però non può ma soprattutto non deve guardare sempre indietro: soffermarsi sul passato non solo cancella il futuro ma impedisce di dare un senso al presente. Roberto Livraghi, studioso e ricercatore, lo ha spiegato invitando a riflettere sulla nostra percezione della realtà, assimilabile a tanti abitanti della città. La sua domanda provocatoria nasconde anche la risposta su un atteggiamento che andrebbe cambiato: “Non ci rendiamo conto che ciascuno di noi conosce un centinaio di persone, magari qualche migliaio, ma sappiamo davvero cosa pensa il resto del capoluogo? Sappiamo cosa pensano e vogliono i giovani? Sappiamo cosa fanno e quanto valgono i migranti in città?“. I suoi interrogativi sono un invito a guardare più lontano, a non crogiolarsi nel passato per non indossare sempre lo stesso abito che finisce per passare fuori moda, necessariamente.
Le cose non vanno così male in fondo, come ha detto il presidente delle Camere di Commercio di Alessandria e Asti, Giampaolo Coscia, se “le famiglie alessandrine sono quelle con i risparmi più alti e in crescita“. Certo, ha aggiunto, rimane il problema del campanilismo, difetto che incastra troppe iniziative o quantomeno soffoca azioni che potrebbero avere una portata molto più ampia. L’alessandrinità dunque deve guardare il futuro e crederci soprattutto e liberarsi dall’atteggiamento schivo, “senza clamore“, di cui parlava Umberto Eco, e riconoscere il proprio ruolo con realismo. “La provincia di Alessandria deve essere fiera del suo essere provincia – ha spiegato con lucidità Roberto Livraghi – un luogo dove poter vivere bene e senza lo stress dei grandi centri, approfittando proprio della vicinanza a metropoli sempre più soffocanti, invivibili e insostenibile “. In questa ottica i numeri parlano chiaro, come ha raccontato Franco Repetto, perché “Alessandria offre spazi abitativi molto superiori rispetto alle grandi città con una media di superficie abitativa di 92 m² contro la media a Milano di 57 m², a Torino di 64 m² e a Roma di soli 54 m²“. Serve però anche la consapevolezza delle necessità di una città che sta crescendo proprio grazie all’Università del Piemonte Orientale, capace di portare in città “oltre 4mila studenti“. “La sfida – ha insistito Repetto – è rafforzare l’attrattività delle università alessandrine, anche con politiche abitative mirate, perché servono nuovi alloggi“. Capire la portata di questo fenomeno vuol dire anche incentivare una sempre maggiore presenza di persone da tutto il mondo, con visioni nuove, ma anche con esigenze utili per tutti come il tempo libero e quindi la necessità di vivere la città e il territorio.
Discorso assimilabile anche al processo di crescita dell’ospedale di Alessandria e all’Irccs, con la possibilità di creare un polo sanitario di primissimo livello. Il concetto di alessandrinità quindi è qualcosa in continua mutazione e di certo non può rimanere legato a una visione ancorata al passato. Le difficoltà ci sono, come l’esuberanza di Torino sul fronte culturale, ha puntualizzato Livraghi, che cattura gran parte delle risorse economiche collegate agli eventi culturali, ma intanto l’aumento di residenti, il campus universitario, i progetti collegati allo scalo ferroviario, alla sanità e alla logistica sono tasselli su cui investire tmepo e anche un po’ di ottimismo. Se essere provinciali una volta era un potenziale difetto oggi rischia di essere un vantaggio. Ma occorre esserne consapevoli.