Autore Redazione
giovedì
21 Luglio 2016
16:47
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Cronaca - Casale Monferrato

Non c’è il “ne bis in idem”. Schmidheiny si può processare per l’omicidio volontario di 258 vittime dell’amianto  

Non c’è il “ne bis in idem”. Schmidheiny si può processare per l’omicidio volontario di 258 vittime dell’amianto  

CASALE – Dallo scorso 31 maggio, e in realtà da molto prima, l’Afeva, l’Associazione Familiari e Vittime dell’Amianto di Casale Monferrato attendeva questo verdetto: Stephan Schmidheiny si può processare per l’omicidio volontario di 258 vittime dell’amianto. Lo ha sancito poche ore fa la Corte Costituzionale. Il principio del “ne bis in idem” ossia quello per il quale non si può essere processati due volte per lo stesso reato “non c’è”. Non c’è perchè l’omicidio volontario e il disastro ambientale doloso sono due reati diversi, ha spiegato Bruno Pesce del Comitato Vertenza Amianto. Non c’è perché Schmidheiny non è mai stato sul banco degli imputati per la morte di tutte le persone che hanno perso la battaglia contro la spietata fibra killer dopo la chiusura del processo Eternit. Il principio del “ne bis in idem”, ha aggiunto Bruno Pesce, non regge neppure per le vittime già citate nel primo procedimento perchè nessuno di quei casi è stato mai trattato come omicidio “ma solo come prova di un disastro ambientale che poi, inspiegabilmente, è stato considerato prescritto”. “Nella richiesta di rinvio a giudizio per omicidio – ha precisato Pesce –  ci sono dei casi che erano allegati anche nel primo processo ma erano nominati per dimostrare che il disastro c’era e c’è. Nell’Eternit I non si è mai entrati nel merito di quelle morti, non si è esaminato caso per caso e infatti le provvisionali previste nel primo processo, sia in primo che in secondo grado, erano per il danno da rischio, da paura, e quindi uguali per tutti, senza distinzione tra decessi e malattie”. Dopo la decisione della Corte Costituzionale ora la parola torna al Gup che per Bruno Pesce “non potrà fare altro che decidere per il rinvio a giudizio”. “La decisione della Consulta è una vittoria, nel senso che ora la giustizia deve fare il suo corso. Ancora una volta le lungaggini ci arrecano un danno ma noi non ci fermiamo.  E ancora una volta la battaglia di Casale contro l’amianto diventa una lotta pilota per il mondo”.

 

Di seguito il comunicato stampa inviato in serata dall’Afeva di Casale 

E’ chiaro che, anche dal punto di vista rigorosamente materiale, la morte di una persona, seppure cagionata da una medesima condotta, dà luogo ad un nuovo evento, e quindi ad un fatto diverso rispetto alla morte di altre persone“.   Più chiara di così, la Corte Costituzionale non poteva davvero essere: il processo Eternit bis “s’ha da fare” eccome!
E’ questa l’unica, inequivocabile indicazione che si può ricavare dalla lettura della sentenza della Corte Costituzionale, finalmente depositata oggi. Nonostante, infatti, la Corte riconosca fondata, in termini generali, la questione sollevata dal Gip di Torino, ne disinnesca completamente la portata pratica nel processo, con argomenti, oltre che giuridici, di comune buon senso.
Al giudice di Torino, che riteneva di essere di fronte a un caso di bis in idem per il solo fatto che le azioni di Stephan Schmidheiny erano già state prese in considerazione nel primo processo, la Corte risponde in modo a dir poco tranciante: “Non vi è (…) alcuna ragione logica per concludere che il fatto, pur assunto nella sola dimensione empirica, si restringa all’azione o all’omissione, e non comprenda, invece, anche l’oggetto fisico su cui cade il gesto, se non anche, al limite estremo della nozione, l’evento naturalistico che ne è conseguito, ovvero la modificazione della realtà indotta dal comportamento dell’agente”.
Noi, che giuristi non siamo, lo avevamo detto fin dal primo giorno, con un linguaggio certamente meno elevato: non ha nessun senso parlare di bis in idem rispetto a casi di omicidio che non sono MAI stati presi in considerazione da nessun giudice, soltanto perchè Stephan Schmidheiny, l’ex proprietario dell’Eternit, è già stato sottoposto a processo per l’accusa di disastro, fatto completamente diverso rispetto alle morti dei singoli lavoratori e cittadini.

La regola di giudizio cui si dovrà attenere il Gip di Torino è quindi la seguente: “Sulla base della triade condotta-nesso causale-evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica, sicché non dovrebbe esservi dubbio, ad esempio, sulla diversità dei fatti, qualora da un’unica condotta scaturisca la morte o la lesione dell’integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio, e dunque un nuovo evento in senso storico. Ove invece tale giudizio abbia riguardato anche quella persona occorrerà accertare se la morte o la lesione siano già state specificamente considerate, unitamente al nesso di causalità con la condotta dell’imputato, cioè se il fatto già giudicato sia nei suoi elementi materiali realmente il medesimo, anche se diversamente qualificato per il titolo, per il grado e per le circostanze“.

Insomma: per i casi nuovi, mai stati oggetto di contestazione nel primo processo, si può e si deve andare avanti; stesso discorso per i decessi che invece erano già indicati nel primo capo di imputazione, dal momento che neppure questi sono stati oggetto di specifico accertamento.

La speranza, a questo punto, è che il Tribunale di Torino fissi quanto prima la nuova udienza, in modo da porre termine a questa stasi del processo che, come ha chiarito la Corte, è stata, ai fini di questo processo, del tutto inutile.

Avanti senza esitazioni, dunque: finchè la gente continuerà a morire di amianto, a Casale e nel resto d’Italia, ad opera delle scriteriate condotte di Stephan Scmidheiny e della società da lui diretta, si potrà e si dovrà continuare a chiedere giustizia per le vittime.

Questo AFEVA ha fatto, negli ultimi trent’anni; questo è quello che continuerà a fare, finchè sarà possibile”.

 

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