Autore Redazione
giovedì
2 Marzo 2017
05:00
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Cronaca - Alessandria - Novi Ligure

Il caso di Dj Fabo e l’eutanasia: alcune opinioni in provincia

La morte di Fabiano Antoniani per mezzo del suicidio assistito ha riacceso i riflettori sul tema dell'autodeterminazione del malato e del fine vita
Il caso di Dj Fabo e l’eutanasia: alcune opinioni in provincia

ITALIA – La morte di Fabiano Antoniani, Dj Fabo, per mezzo del suicidio assistito in Svizzera ha riacceso i riflettori sul tema dell’autodeterminazione del malato e del fine vita. Già 11 anni fa Piergiorgio Welby, attivista e co-presidente dell’Associazione Coscioni, si appellò al Presidente della Repubblica per ottenere il diritto all’eutanasia e porre così fine alle sofferenze causate dalla distrofia muscolare che lo aveva colpito. Ancora oggi, però, quella legge in Italia non c’è.

Sull’onda dell’emotività negli ultimi giorni si stanno di nuovo spendendo  fiumi di parole per commentare scelte di altri. Calato il clamore mediatico, il rischio è che sul fronte politico nulla si sblocchi.

Il tema è delicato e la morte fa paura, ma per Gabriella D’Amico, medico coordinatore dell’hospice “Il Gelso” di Alessandria “è importante introdurre uno strumento giuridico che permetta il rispetto dell’autodeterminazione del paziente. Però non bisogna fare confusione tra eutanasia, suicidio assistito, sospensione della terapia e sedazione palliativa”.

Nella sedazione palliativa, ha spiegato il medicol’intenzione” è quella di curare un sintomo refrattario di una malattia che non lascerà scampo. “Possiamo ad esempio pensare alla dispnea. Se una persona inizia a sentirsi soffocare da sveglio e nessun altro farmaco fa effetto si può addormentare il paziente per non fargli più avvertire dolore. La causa della morte in questo caso è quindi la malattia e non la sedazione fatta dal medico”. Come per le cure palliative c’è una simile proporzione tra “il beneficio la non maleficità” in caso di sospensione della terapia. “In questo caso è il medico a interrompere la terapia ma è sempre la malattia la causa delle morte”.

Diversa è invece “l’intenzione” dell’eutanasia o del suicidio assistito. “In questo caso si provoca la morte con una dose di farmaco non proporzionale ma letale. Per l’eutanasia c’è però il grosso problema della voragine normativa di chi fa l’iniezione perché è il farmaco a indurre la morte e non la malattia”.

“Se si seguissero i principi generali dell’etica medica e delle cure palliative non avremmo bisogno di arrivare a un suicidio assistito o all’eutanasia
(Gabriella D’Amico)

La situazione è complessa, ma per la dottoressa Gabriella D’Amico la strada per introdurre un adeguato strumento giuridico è già tracciata. “Il primo punto dei principi generali dell’etica medica prevede il rispetto per l’autodeterminazione del paziente. La legge potrebbe quindi fare riferimento alla Dichiarazione Anticipata di TrattamentoUna persona, ancora vigile e cosciente, potrebbe dare in prima persona indicazioni sui vari tipi di trattamenti. Quindi dire sì o no all’idratazione, alla nutrizione o alla respirazione artificiale. Se ci sono buone cure palliative, al di là della dichiarazione anticipata che dovrebbe essere un diritto, si possono poi curare i sintomi della malattia, anche nel contesto famigliare.

In base alla mia esperienza all’Hospice posso garantire che quando cambia la qualità di vita, perché si riesce a curare o mitigare il sintomo che rappresenta la vera fonte di sofferenza, anche chi aveva più volte ripetuto di voler morire, il giorno dopo comincia a chiedere agli infermieri di riprendere a misurargli la pressione o gli ricorda la terapia. Il paziente deve però essere correttamente informato del decorso della patologia e, soprattutto, abbiamo bisogno di una legge che consenta davvero al cittadino di realizzare la propria autodeterminazione nella malattia. Se la dichiarazione anticipata di trattamento diventasse una realtà a quel punto forse non si dovrebbe neppure arrivare al punto di schiacciare un pulsante per iniettare un farmaco letale”.

“Non capiamo lo scontro frontale su una proposta che non obbliga nessuno a scegliere l’eutanasia, ma lascia solo la porta aperta a chi vuole prendere questa strada”
(Piergiacomo Orlando)

Proprio in queste settimane sarà in effetti in discussione alla Camera la proposta di legge sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento. Per Piergiacomo Orlando, medico della Consulta di Bioetica di Novi Ligure, anche questa proposta di legge conferma però la complessità del tema del fine vita nel nostro Paese.È già stata presentata una fila lunghissima di emendamenti a dimostrazione che ci sono posizioni discordanti”. E tutto questa senza che si sia mai affrontato “il vero e importante scoglio: quello dell’eutanasia”.

“In Italia – ha sottolineato Piergiacomo Orlando – ci sono due paradigmi morali abbastanza inconciliabili, quello di ispirazione cattolica, e lo dico senza polemica, e quello della bioetica laica, che fa fatica ad imporsi. La nostra posizione sull’eutanasia attiva o suicidio assistito è  presente in pochi Paesi europei ma non capiamo uno scontro frontale su una proposta che non obbliga nessuno a scegliere l’eutanasia, ma lascia solo la porta aperta a chi vuole prendere questa strada.

Piergiacomo Orlando è comunque più che consapevole della delicatezza del tema, anche solo sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento. “A Novi Ligure, così come in altri 300 Comuni italiani, è stato istituito uno sportello dove depositare i cosiddetti testamenti biologici. Un’iniziativa che serve soprattutto a dare un segnale politico che non sta però riscuotendo un grande successo. In tanti chiedono lo stampato ma in pochi tornano con foglio compilato. I dubbi sono tanti e le persone hanno paura di affrontare l’idea della morte. Questo è un grande problema e come tale non può avere una risposta semplice”.

Secondo Piergiacomo Orlando, per quarant’anni medico rianimatore, l’unica strada per arrivare a una sintesi passa però dalla “tolleranza. “Chi non vuole affrontare il dolore ha diritto di essere aiutato. Il dialogo tra cattolici e laici non è semplice ma so che ci sono anche sacerdoti che riescono a capire questa scelta. Chi si ferma alla dottrina, ovviamente, non può farlo ma non si può pretendere dalla Chiesa di pensarla diversamente. Cosa diversa, però, è lo Stato”. 

“La dottrina della chiesa sull’eutanasia è precisa ma credo si debba aprire una riflessione. Non stiamo parlando di leggi matematiche, c’è di mezzo la vita delle persone”
(Gian Piero Armano)

Come effettivamente raccontato dal dottor Orlando della Consulta di bioetica di Novi, anche nel mondo della Chiesa Cattolica c’è chi vorrebbe aprire una riflessione sul tema dell’eutanasia.  Per Gian Piero Armano, sacerdote della parrocchia San Paolo di Alessandria “bisogna avere rispetto della decisione di Dj Fabo, presa secondo coscienza. Da credente – ha spiegato a Radio Gold – non avrei agito allo stesso allo stesso ma è difficile dirlo senza trovarsi nella sua stessa condizione, un incidente che ha trasformato la sua vita in forma che, estremizzando, si può definire “non vita”.

Sulla vicenda di  Dj Fabo e di tutte le altre persone che hanno dovuto lasciare il proprio Paese “per mettere in atto quello che in coscienza avevano deciso per il sacerdote alessandrino servono “umiltà e prudenza”. “E chi è credente può aggiungere anche qualche preghiera. Dispiace vedere che chi non è d’accordo metta in piedi delle sceneggiate che sfociano in una forma di fanatismo che giudica e condanna. Non si devono esprimere certi giudizi perché in questo modo si è contrari alla misericordia di Dio. La dottrina della chiesa sull’eutanasia è precisa ma credo si debba aprire una riflessione. Non stiamo parlando di leggi matematiche, c’è di mezzo la vita delle persone. Qualche anno fa il Cardinal Martini aveva cominciato a sollevare qualche riflessione in merito, durante il caso Welby.  In Italia non siamo però ancora riusciti a trovare una soluzione, a causa di motivazioni di stampo religioso da parte di alcuni partiti che impediscono a uno Stato laico di definire una legislazione“.

 

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