Autore Redazione
venerdì
19 Maggio 2017
05:01
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Cronaca - Alessandria

“Per migliorare la sicurezza in carcere servono risorse umane”

La lettera aperta del direttore dell'istituto penitenziario San Michele di Alessandria, Domenico Arena.
“Per migliorare la sicurezza in carcere servono risorse umane”

ALESSANDRIA – Per affrontare il problema della sicurezza nelle carceri l’intelligenza serve di più che i muscoli. Lo ha scritto in una riflessione aperta il direttore dell’Istituto Penitenziario San Michele di Alessandria, Domenico Arena. 

Di contro un carcere inteso come discarica della sicurezza sociale è il luogo più insicuro della nostra società, capace di produrre “un’esplosione, più o meno premeditata ma spesso del tutto estemporanea, di forza distruttiva priva di altri obiettivi oltre a quello del male inferto, in qualche caso solo sponsorizzato (mai non guidato) da prospettive fondamentalistiche o antisistema.”

Secondo Arena serve quindi “diversificare, distinguere le situazioni concrete, evitando di generalizzazioni, sottovalutazioni e allarmismi. Dare per scontata una lettura imperniata sulla omogeneità delle persone come automaticamente violente e pericolose in quanto detenute costituisce un errore metodologico cruciale, una profezia destinata ad auto avverarsi.”

Occorre, secondo il direttore dell’istituto alessandrino “fare l’operazione inversa: prenderci cura e conoscere le persone individualmente, fornendo risposte e opportunità diversificate ai bisogni, alle situazioni e alle intenzioni di ciascun essere umano. Capire e ricostruire le situazioni, le storie, le estrazioni culturali e familiari, le dinamiche di relazione di ciascun detenuto per poter decodificare adeguatamente la realtà e prevenire, o almeno ridurre al minimo, i rischi e i pericoli. È un lavoro estremamente dispendioso aggiunge Arena “che necessita di considerevoli risorse umane, oltre che tecnologiche, sia sotto l’aspetto quantitativo che sotto quello qualitativo.”

Il “cruccio” di Domenico Arena è appunto il “non avere a disposizione le tante risorse necessarie, a cominciare dai poliziotti penitenziari, e poi educatori, psicologi, assistenti sociali, per non dire delle opportunità di lavoro e delle risorse logistiche esterne al carcere. Un cruccio comune a quello delle organizzazioni sindacali che da troppi anni si battono insieme a noi per spiegare che un carcere che funziona non può essere un contenitore malsano di disagio ma deve costituire il terreno privilegiato di investimento di risorse massicce e mirate in tema di risocializzazione e intelligence, di umanità e sicurezza, di dignità e decoro per tutti coloro che in carcere vivono e lavorano. (…) Sono esigenze reali. (…) L’alternativa è scivolare lungo il piano inclinato della cieca contrapposizione.”

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