Autore Redazione
domenica
3 Dicembre 2017
07:17
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Eventi - Alessandria

Avventura, radici e dramma. Recensione di Salario al Teatro Ambra

Avventura, radici e dramma. Recensione di Salario al Teatro Ambra

ALESSANDRIA – Sta nel titolo “Salario”, seguito dal sottotitolo “ Storie di Italiani e Francesi, di orsi ammaestrati, di arrampicate sugli olmi, di trucchi di magia e di America”, la doppia anima dello spettacolo con  Gualtiero Burzi , scritto da lui e da Mauro Pescio, andato in scena sabato 2 dicembre al Teatro Ambra per la rassegna Ambra Brama di  Musica e Teatro.

La storia prende spunto da un fatto tragico accaduto nel 1893 nelle saline di Aigues Mortes in Camargue, dove lavoravano, penalizzati da una forte discriminazione, molti italiani del nord, in buona parte piemontesi. In tale condizione di grande tensione, una rissa fece scaturire un eccidio di stampo xenofobo da parte della popolazione locale, che provocò il linciaggio dei salariati italiani, tra cui un lavoratore proprio di Alessandria. E’ ispirandosi a lui, in modo fantasioso, che Burzi e Pescio, che ha anche curato la regia,  hanno costruito un racconto che parte da Alessandria per arrivare in Francia, sulla scorta di un sogno e dell’avventura. Perché Salario ha una trama che alterna il viaggio, l’amicizia, la magia, come in un romanzo, e il contesto sociale che sfocia in dramma. Il protagonista è un eroe nostrano, vicino nella parlata e nel buon senso tutto piemontese, ma è anche un sognatore alla ricerca del nuovo, inarrestabile nel suo entusiasmo.  L’avventura e la magia, quella da mago da festa di paese e quella che permette di partire con un quaderno e una tromba ( “…un cavallo e una chitarra”, viene da pensare a “L’avventura” di Modugno) e, d’altro lato, il crescendo drammatico e ansiogeno che porta alla strage e alla fuga dal linciaggio.  Tra le due correnti del monologo, la musica di Gianni Coscia e le proiezioni delle illustrazioni di Riccardo Guasco. Entrambe suggeriscono le feste di paese e una memoria collettiva che rimane dentro, anche quando è solo ereditata. La fisarmonica  rimanda alla tradizione monferrina e a quella francese, scorre lieve per poi segnare la tragedia,  mentre le  immagini potrebbero essere i quadri stilizzati di un cantastorie che narra di altri mondi.

E’ tutto qui il merito di “Salario”: nella scrittura, appunto nelle sue due anime che toccano registri molto diversi, nella bravura di un interprete che racconta tra il favolistico e il dramma storico e nella scelta di un fatto terribile quasi totalmente sconosciuto. Burzi presta voce e corpo a più personaggi, incarna fare scanzonato, fatica disumana e terrore. Si avvicina al teatro di narrazione e a quello sociale per creare uno stile che declina la storia con un pizzico di surreale, facendola partire dalla radice della sua città e aprendola al sogno americano del suo protagonista senza nome. Da vedere.

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