18 Settembre 2018
13:09
Nel mito uno specchio. Recensione di “Eden–In principio” ad Ovada
OVADA – La certezza contrapposta alla sua mancanza, il peso dell’eternità a quello della vita e della morte.
Con queste premesse inizia “Eden – in principio”, presentato, lunedì 17 settembre, al Teatro Splendor e tratto dal primo dei drammi della raccolta “Ritorno a Matusalemme” di G.B. Shaw, con la regia, rielaborazione e traduzione di Ian Bertolini. Due atti in soluzione di continuità, solo separati da un momento coreografato, per due quadri mitici successivi, quello della scelta della vita mortale nel giardino dell’Eden e quello della nascita della violenza omicida con Caino.
Il testo è stratificato, ricco di contenuti e rimandi al racconto biblico, ma soprattutto al pensiero di Shaw, al suo teatro di idee e alla sua fiducia nel progresso e nell’evoluzione dello spirito. Il risultato è una catena di dialoghi basati sulla persuasione, sulla sollecitazione della conoscenza e sugli scontri, con accenti umani e qualche sfumatura ironica sull’incomprensione tra posizione femminile e maschile. Così il mistero della nascita e della morte, suggerito dal serpente (Marco Guerrini, intrigante intellettualmente, più che lascivo) è accolto con diversa sensibilità dall’uomo/Adamo (un Claudio Gaj stanco del peso di sopportare se stesso per l’eternità) e dalla donna/Eva (una brava Sonia Colombo che ben rende un percorso di consapevolezza e speranza). La violenza del preteso superuomo, che solo distrugge, è impersonata da Caino, un Alessio Arzilli dallo sguardo allucinato. Non sono psicologie singole, ma tipi umani che travalicano i tempi e sono attuali oggi come 100 anni fa, attingendo alle forme del mito e della tragedia classica.
La regia e l’elaborazione di Bertolini fanno di “Eden” un testo denso e moderno, ambientato in un non-luogo, dove l’albero della conoscenza è un ceppo e dove un simil-bonsai, ora piantato e ora diviso e sradicato, acquisisce valore simbolico. Il dramma diventa uno specchio delle contraddizioni della vita e la bella perorazione finale di Eva/Sonia Colombo coinvolge direttamente il pubblico sulla vanità della sopraffazione e sulla speranza riposta in ciò che di sublime l’uomo sa fare.
Uno spettacolo notevole per peso specifico dei dialoghi, capacità di resa scorrevole e persino venata di ironia, precisa interpretazione. Da vedere.