Autore Redazione
martedì
10 Marzo 2015
01:21
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Eventi

La tragedia della perdita e della follia. Recensione de “Re Lear” al Teatro Alessandrino

La tragedia della perdita e della follia. Recensione de “Re Lear” al Teatro Alessandrino

ALESSANDRIA – «Noi dobbiamo accettare il peso di questo tempo triste. Dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire. I più vecchi hanno sopportato di più: noi che siamo giovani non vedremo tanto né tanto a lungo vivremo».

Il tempo triste appartiene ad un’epoca remota che diviene contemporanea nel “Re Lear”,  portato in scena il 9 marzo, al Teatro Alessandrino, per la regia di Michele Placido (anche protagonista nelle vesti del re) e Francesco Manetti, con un’ambientazione scenografica (di Carmelo Giammello) ricca di richiami ai giorni nostri.

La scena si presenta a sipario aperto e priva di quinte, occupata da vestigia diroccate di ogni tempo, come statue rotte e dipinti, e dominata da un’enorme corona arrugginita sulla cui parte interna si trovano immagini di uomini di potere ormai decaduti.

“Re Lear” è la tragedia del potere che abdica per lasciare il caos, della perdita delle certezze e degli affetti che causano la follia e del percorso attraverso gli inferi dell’abbandono del senno per raggiungere redenzione e verità.

Il monarca abdica a favore delle  tre figlie e divide il trono in base alla loro dimostrazione di affetto. Goneril  (Marta Nuti) e Regan (Maria Chiara Augenti) , ottengono entrambe metà regno grazie alle loro false lusinghe, mentre Cordelia (Federica Vincenti) , onesta nel non piegarsi all’adulazione, viene bandita e diseredata. La vicenda si intreccia con le trame di Edmund, figlio illegittimo del conte di Gloucester, che trama contro il padre e il fratello Edgard per conquistare  titolo e potere, sino ad ambire, grazie alla complicità di Goneril e Regan, entrambe attratte da lui, a diventare re.

Il taglio registico propone molti spunti e offre una versione movimentata senza attimi di tregua. Le scene di susseguono con soluzione di continuità, segnate da uno splendido gioco di luci spesso radenti, che accrescono la sensazione di inquietudine o di effetto atmosferico brumoso e tempestoso. Gli attori non escono mai veramente dalla scena, li si vede a tratti a latere immobili in attesa, in un gioco che ricorda allo spettatore che di teatro si tratta, ma anche di vita che si anima di colpo. Nello scenario catastrofico di un mondo devastato, i protagonisti sono abbigliati inizialmente con qualche attinenza con un’epoca antica, in seguito in modo moderno e aggressivo. Le donne lasciano i costumi lunghi e strutturati per pantaloni in pelle nera e corsetti borchiati, Re Lear lascia l’abito rosso simbolo di autorità per un poncho- coperta indice, come una sedia a rotelle, della follia che ottenebra la sua mente. La violenza è vera, sottolineata dal sangue che corre a fiotti, così la sensualità è esplicita, vero eros palpitante nelle scene di lascivia tra Edmund e Goneril prima, Regan poi.

La recitazione di tutto il cast è di ottimo livello. Michele Placido dà risalto all’aspetto umano e disperato nella pazzia, passa dal piglio autoritario al candore infantile in un percorso ciclico che lo porta a recuperare, nel dramma, il senso della realtà e della misura.

Spicca per bravura Francesco Bonomo, un Edgard molto convincente che si trasforma, costretto alla fuga dalle calunnie del fratello Edmund, in Tom di Bedlam, mendicante pazzo, pirotecnico nella gestualità e nel calibrare la voce in mille toni diversi.

Giulio Forges Davanzati è un Edmund viscido e lussurioso al punto giusto, mentre Gigi Angelillo è un conte di Gloucester perfetto particolarmente nei dialoghi, una volta cieco, con il figlio Edgard e poi con Re Lear. Il dialogo tra il Re accecato nella ragione e il conte, privato realmente degli occhi per non averlo tradito, è uno dei momenti migliori nel coniugare la follia che non comprende ciò che vede (e qui, nel dramma, qualche tratto ironico) e la ragione che si fa strada attraverso il buio.

Con l’”Hallelujah”  di Cohen, cantato da Cordelia in procinto di essere uccisa, si chiude la tragedia che vede nel finale i protagonisti morti vegliare la fanciulla che giace su un tavolo e il mondo del potere trovare una tregua nel passaggio del titolo di re nelle mani di Edgard. La ciclicità si è compiuta e attraverso un bagno di violenza si dispiega la pace.

Nel  cast anche Francesco Biscione, Beppe Bisogno, Brenno Placido, Alessandro Parise, Mauro Racanati, Gerardo D’Angelo, Bernardo Bruno.

Un grande successo di pubblico al Teatro Alessandrino per un allestimento grandioso e di forte impatto emozionale di un classico che rappresenta per ogni regista una sfida.

La stagione al Teatro Alessandrino continua giovedì 9 aprile con “Coraggio: il meglio è passato” di Enrico Vaime con Massimo Bagliani e Isabella Robotti.

Nicoletta Cavanna

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