Autore Redazione
venerdì
24 Aprile 2015
23:33
Condividi
Eventi

Un luogo simbolo e la tenacia delle origini per la Masnà degli Stregatti al Teatro San Francesco. Recensione

Un luogo simbolo e la tenacia delle origini per la Masnà degli Stregatti al Teatro San Francesco. Recensione

ALESSANDRIA – 

“Dimenticare è scappare e scappare è impossibile”

Tre vite diverse ma segnate da un’origine comune, il luogo avito della casa dei Francesi, e da un patriarcato che  vuole le donne sottomesse, incapaci e impossibilitate ad ogni decisione: delle masnà, cioè bambine, non da proteggere, ma da sfruttare e trattare con sufficienza.

Venerdì 24 aprile, al Teatro San Francesco , completamente esaurito per l’occasione, la Compagnia Teatrale Stregatti , per la regia di Gianluca Ghnò, ha presentato la prima nazionale de “La masnà”, dal fortunato romanzo di Raffaella Romagnolo.

Come nel libro, i luoghi sono la determinazione dell’esistenza delle protagoniste. La casa dei Francesi, dove Emma entra il giorno delle nozze con il ciabattino zoppo, cui viene data in sposa per le sue doti di grande lavoratrice, è il luogo simbolo dell’origine che non si può cancellare e della sorte di essere donna, più o meno maltrattata, ma sempre sottomessa.  Emma vive un’esistenza  fatta solo di fatica e di sopportazione. Luciana, sua figlia, sposa un uomo che non ama, perché impossibilitata a scegliere qualcosa di diverso da quanto gli altri si aspettano da lei e scoprirà dopo anni di essere stata privata dell’eredità della sua parte di casa. Anna, la terza generazione, rappresenta il riscatto, la coscienza di sé e il coraggio di far valere i propri diritti, ritornando alle origini e comprendendo la fatica di vivere di chi l’ha preceduta.

La scelta registica di Gianluca Ghnò ha rispettato i salti spazio-temporali del libro, passando dal ricordo al momento presente, in un tempo che fluttua attraverso la storia. La seconda guerra mondiale attraversa la vita di Emma con Carlin, il partigiano che lei nasconde, all’insaputa della famiglia, e che ritorna sempre nei suoi pensieri, insieme alle sue nozze  come unico giorno differente dalla fatica di sempre, mentre  il boom economico si intravede nella possibilità, mancata, di Luciana di proseguire a lavorare.  Su tutto l’elemento simbolico che raccorda i fatti e gli anni: la casa rappresentata da modellini di legno e un telo bianco che diventa letto di ospedale, velo nuziale o schermo su cui sono proiettate le chine di Aeno, raffiguranti colline, capelli di donna e elementi femminili misteriosi e ancestrali. Simbolici anche gli abiti di alta moda (creati dalla classe 4^ sezione moda del Fermi) che, su manichini, completano una scenografia  che induce a riflessioni sulla psicologia dei personaggi.

La casa dei Francesi  ha un contrappunto che ne  accentua l’importanza. Emma sposa, nel giorno delle nozze, racconta ad una bambina la storia che narrerà poi a Luciana e ad Anna. “Dagli appennini alle Ande” diventa , nella trasposizione teatrale, un quadro vivo di energia propria. La narrazione scivola nella lingua spagnola e la musica è la struggente Volver. Il sacrificio del viaggio verso l’ignoto, dell’abbandono della casa natia emerge spaventoso e antitetico al radicamento, visto come unica possibilità di vita da chi non conosce altro e sopporta fatiche e angherie considerate inevitabili.

Giusy Barone è una Emma che consuma nel giorno delle nozze, il più bello della sua vita, la sua giovinezza. La sua unica scelta è nascondere il partigiano Carlin, null’altro le è permesso in una strada per lei già decisa e segnata. Notevole il passaggio continuo dal ricordo al delirio in punto di morte, in una drammaticità che in lei, contadina e semianalfabeta, si esprime nella remissione. Luciana (Daniela Faletti) e Anna (Simona Gandini) emergono nel complicato contrasto di personalità madre-figlia, superato solo con la comprensione postuma di fatti familiari antecedenti. Un’ottima prova per entrambe, che vede una madre vedova finalmente in grado di prendere decisioni e una figlia che le rimprovera, prima di capirla, di non soffrire.

Tutto lo spettacolo è costruito sulle diverse reazioni, stigmatizzate da frasi ricorrenti, delle tre donne alle scelte loro imposte. “i maschi sono meglio…..Mario l’ sa” sono gli assiomi enunciati e, al contempo, combattuti, in un unicum temporale che rende simultanee azioni e frasi lontane nel tempo. Tutto ritorna e la circolarità riporta alla casa, al passato e alle ingiustizie che chiedono di essere sanate.

Lo spirito del libro di Raffaella Romagnolo pulsa ne “La masnà” degli Stregatti e prende la forma di un dramma corale dal finale volto alla speranza.

Nicoletta Cavanna

 

 

 

Condividi