8 Febbraio 2016
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La contorta dinamica dell’odio. Recensione di “Chi ha paura di Virginia Woolf?”
CASALE MONFERRATO – Insofferenza, odio e dipendenza reciproca. Sono rapporti malati quelli delle due coppie protagoniste di “Chi ha paura di Virginia Woolf?, presentato, con un ottimo successo di pubblico, domenica 7 e in scena anche lunedì 8 febbraio al Teatro Municipale di Casale Monferrato.
La pièce di Edward Albee si consuma nel dialogo tra la coppia matura di George e Martha, astiosi e reciprocamente feroci, e i più giovani Dick e Honey, il cui rapporto si rivela inconsistente e insano.
Tutti sono contro tutti, in un disordine mentale e fisico che si riflette nel peso insopportabile delle parole dette, negli insulti e nei gesti sguaiati.
Martha (Milvia Marigliano ) è carnale, offensiva e spudorata, mentre il marito (Arturo Cirillo, anche regista) è frustrato dalla disistima della moglie, che lo reputa un fallito, e risponde con un cinismo sottilmente feroce. La loro ostilità non ha un attimo di tregua e tocca momenti di violenza estrema, ben sottolineati dagli eccessi volgari di lei, volti ad umiliare il coniuge, e dal sarcasmo velato di sottomissione di lui (la cui postura sempre dimessa si risolve, a tratti, in gesti destabilizzanti).
Dick (Edoardo Ribatto) è arrivista, sostenuto, scorretto e indifferente alla moglie. E’ lui la fonte del disagio di Honey (Valentina Picello) che, da subito, parla con il corpo e dimostra lo strazio psicologico di un’unione priva di reciprocità.
Il taglio registico di Cirillo evidenza lo strazio e l’instabilità. La costrizione del matrimonio della prima coppia è una prigione più mentale che reale, una sofferenza che diventa una necessità, come se l’odio fosse l’unica ragione di vita dei protagonisti. Il gioco è crudele e ha delle regole, comporta delle invenzioni che diventano realtà condivise, come l’esistenza fantasiosa di un figlio. Tutto è finalizzato non alla serenità, ma alla distruzione reciproca, unica fonte di energia.
Nella seconda coppia lo strazio sta nella somatizzazione del malessere da parte di Honey, la cui sofferenza si traduce in posture contorte e in una iniziale inadeguatezza dialettica che diventa un grido di infelicità che chiede riscatto.
Il disordine è assoluto, sottolineato dalla scenografia, un salotto stilizzato dove i mobili scorrono e si dispongono in posizioni diverse. L’incontro/scontro dei quattro protagonisti è ambientato a tarda notte, dopo un party, e il peggio che è in loro (l’animale, il lupo, cui si richiama il gioco di parole del titolo) viene alla luce. Alla fine sembra non rimanere nulla se non il crollo delle fragili regole a sostegno del vuoto.
Una regia spietata e lucidissima nel delineare un dramma psicologico in quattro diverse declinazioni e quattro interpreti bravissimi che delineano se stessi in una carneficina dove nessuno risulta vincitore.
Assolutamente da vedere
Nicoletta Cavanna