10 Luglio 2016
01:36
La vita attraverso Shakespeare. Glauco Mauri racconta
COSTIGLIOLE D’ASTI – “Shakespeare è uno dei grandi cantori di tutti i colori della vita di un uomo, in questa serata noi passiamo da qualcosa di quasi comico a qualcosa di drammatico e terribile come Timone di Atene, una delle tragedie più dure da lui scritte”.
Glauco Mauri racconta con passione, al termine della prima nazionale de “Il canto dell’usignolo”, che ha aperto sabato 9 luglio la Rassegna “Paesaggi e Oltre 2016” a Costigliole d’Asti, delle scelte nell’ambito del vasto repertorio shakespeariano.
“Il canto dell’usignolo” è un viaggio, con le voci di Mauri e Roberto Sturno e la musica di Giovanni Zappalorto, attraverso i protagonisti delle tragedie del bardo, passando per i sonetti e arrivando alla funzione e alla magia del teatro. Il filo conduttore è la grandezza nella caduta, la lucidità nella disfatta che emerge nelle tragedie. Così in Riccardo II, in Re Lear, in Macbeth e nella Tempesta. Lo spettacolo inizia con una favola di Lessing, cui si ispira il titolo, a proposito del canto dell’usignolo, unica voce di poesia e bellezza che emerge nel gracidio delle rane. La voce del poeta deve continuare a risuonare per non costringere all’ascolto continuo delle banalità e brutture che imperversano.
Mauri, perché la scelta della nobiltà nella sconfitta ?
Mi interessa quando l’uomo, nella sua via crucis interiore, scopre se stesso. Proprio nelle cadute scopriamo la nostra umanità, è la storia della vita.
Qual è il personaggio shakespeariano cui si sente più legato?
Sono particolarmente legato al Riccardo II, ricordo che, quando l’ho fatto a Torino, andavo a cena con Mario Luzi, il grandissimo poeta che ne ha curato la traduzione. Mi chiedeva: “è giusto scrivere così?…no, perché tu sei un attore….”
Riccardo II emerge nella sua statura proprio al momento della sua deposizione. Che altri personaggi sono a lui accomunati nella sconfitta ?
Macbeth, alla fine, quando è abbandonato da tutti e la moglie si è suicidata, parla con estrema lucidità della vita. Timone di Atene ha un dolore che si è dilatato in odio verso l’umanità, è stato eccessivamente generoso e poi altrettanto odia. Per quanto riguarda Prospero, sono convinto che quando dice “spezzerò la mia bacchetta” è come se Shakespeare dicesse spezzerò la mia penna, sentiva la fine che si avvicinava. C’è un sentore di fine della vita e della poesia.
Ma si parla anche di amore, nello spettacolo
Sì, nei sonetti, capolavori che pochi conoscono. Nei sonetti di Shakespeare l’amore è al di sopra di tutto (uomo, donna, qualunque oggetto), è innamoramento dell’amore. Bisogna dosare molto una serata di questo genere, nel passare da un sentimento all’altro. E’ come vedere in una galleria venti quadri di Van Gogh di seguito, al decimo quadro ci si sperde. Speriamo di essere riusciti a mediare.
Nel prologo dell’Enrico V Shakespeare invita gli spettatori a fare uno sforzo di immaginazione per entrare nella magia del teatro che diventa vita. In questo senso Mauri e Sturno hanno mediato e il pubblico (numerosissimo nel cortile colmo del castello) è rimasto incantato di fronte alla statura e all’umanità di personaggi che man mano sono emersi nel loro dolore e nella loro nobiltà.
Splendido il dialogo tra Mauri-Re Lear, in tutta la sua regalità ferita, e Sturno-il matto, amaro e canzonatorio, geniale nelle sue variazioni vocali. Il monologo di Prospero nel IV atto de La Tempesta chiude lo spettacolo. La magia evocata dal teatro svanisce come la vita stessa e la reale conoscenza avviene attraverso fatica e sconfitte.
Uno spettacolo da vedere per le grandi emozioni che trasmette e perché pietra di paragone di ogni interpretazione shakespeariana.
La rassegna “Paesaggi e Oltre 2016 teatro e musica d’estate nelle terre dell’Unesco”, dopo il grandissimo successo di questa prima serata, continua, sabato 16 luglio, alle ore 18, a Coazzolo, con “Il segreto del Bosco vecchio”, dal libro di Dino Buzzati, del Teatro degli Acerbi.
Nicoletta Cavanna