Autore Redazione
venerdì
24 Marzo 2017
11:23
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Eventi - Piemonte

Il foglio bianco della sospensione e dell’attesa. Recensione di “Tre sorelle” al Teatro Alfieri di Asti

Il foglio bianco della sospensione e dell’attesa. Recensione di “Tre sorelle” al Teatro Alfieri di Asti

ASTI – Un luogo asfittico di provincia dove è di stanza una guarnigione militare, il senso del trascorrere del tempo nell’inazione e gli interrogativi della vita.

L’allestimento di “Tre sorelle” di Cechov della Fondazione Teatro Piemonte Europa, per la regia di Emiliano Bronzino, messo in scena giovedì 23 marzo al Teatro Alfieri, mette l’accento sull’estraneità al destino.

Come da testo, le tre sorelle Maša (Maria Alberta Navello), Irina (Maria Laura Palmeri) e Ol’ga (Fiorenza Pieri) Prozorov sognano di tornare a Mosca, che rappresenta un sogno irraggiungibile, e vivono intanto una situazione di perenne transizione, conducendo esistenze provvisorie. La loro abitazione di provincia, dove vivono con il fratello Andrèj  e la volgare e irritante moglie Natasha, è frequentata da ufficiali della guarnigione militare di stanza in quel luogo.  Ne nasce un amore impossibile tra Veršinin, il comandante, e Masha, sposata con un uomo che non ama, un matrimonio destinato a non essere celebrato tra Irina e Tuzenbach, che morirà in duello, e illusioni di brevissima durata e infelice epilogo.

L’ambiente domestico è trasformato da Bronzino, attraverso le scene di Francesco Fassone, in un luogo indefinito.  Un telo bianco, pare un foglio attaccato a dei tiranti (sospeso come il trascorrere del tempo che si respira), ricopre un terreno non uniforme, che suggerisce più livelli e arredi. L’inazione è evidenziata dall’uniformità del colore e delle forme arrotondate di ciò che il telo copre, mentre il suolo accidentato, con un gradino e una discesa, imprime ai gesti dei protagonisti una dinamica tesa, che si scontra con un senso di prigionia.  Il finale, con la partenza della guarnigione, l’addio di ogni speranza di ritornare a Mosca e la separazione delle tre sorelle, è segnato dall’accartocciarsi su se stesso del foglio, piccolo mondo sospeso nella sua fragilità. La collocazione temporale scelta è piuttosto indefinita, mancando di riferimenti ambientali. Gli abiti suggeriscono gli anni ’50, mentre, per quel che riguarda il testo, la resa è fedele e ben mette in evidenza la profondità delle psicologie dei personaggi.

Il cast di TPE è collaudato e l’interpretazione dei protagonisti è di ottimo livello, in modo particolare perché immersa in un contesto glaciale che spiazza lo spettatore e lo priva di punti di riferimento (pare un paesaggio lunare). Tra tutti non si possono non citare Veršinin/ Massimo Reale che dà corpo alla visionarietà filosofica e alla mancanza di speranza per il presente, Masa/ Maria Alberta Navello, che ben incarna le passioni interiori che la scuotono, e il medico Čebutykin/ Graziano Piazza. All’interpretazione convincente di quest’ultimo il compito di stendere un collegamento nichilista e tuttavia bonario sull’inutilità di ogni speranza.  I protagonisti sono soli e tali rimangono, come disperatamente solo è Andrèj Sergèevič Prozorov, un bravo Alberto Onofrietti che ben rende, tra misura e pathos, l’abisso di sconforto dal quale il capofamiglia colto e raffinato vede precipitata la sua vita.

In scena Alberto Onofrietti, Marcella Favilla,  Fiorenza Pieri, Maria Alberta Navello, Maria Laura Palmeri, Stefano Moretti, Massimo Reale, Riccardo Ripani, Alessandro Meringolo, Graziano Piazza, Vincenzo Paterna, Riccardo De Leo, Gisella Bein. 

Un allestimento notevole e di grande intensità, molto applaudito dal pubblico del Teatro Alfieri. Forse eccessivo nell’eliminazione di ogni elemento naturalistico, sicuramente da vedere.

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