6 Maggio 2017
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Un uomo odiato dalla vita. Recensione di “Thom Pain. Basato sul niente” al Teatro Ambra
ALESSANDRIA – “Thom Pain. Basato sul niente”, monologo pluripremiato del commediografo americano Will Eno, che ha chiuso venerdì 5 maggio la rassegna Ambra Off al Teatro Ambra, è un testo spezzettato, che segue una logica interiore che si intuisce per bagliori.
In scena, diretto da Antonio Zavatteri, Alberto Giusta sembra seguire un flusso di coscienza. Racconta episodi di infanzia e di rapporto di coppia, interrompendoli con domande improvvise al pubblico, barzellette spiazzanti o temi ricorrenti come giochi di prestigio o annunciate lotterie.
Il testo è un disegno fatto di frammenti che contengono delusioni, riflessioni sulla vita e domande alte che rimangono sospese o si stemperano in risposte basse, ciniche o convenzionali. I temi si aprono e si interrompono, le dichiarazioni si smentiscono immediatamente in un gioco che destabilizza lo spettatore, continuamente coinvolto e interrogato. Pain significa dolore, è un rimando alla solitudine, all’inadeguatezza e alla sofferenza contenuto nelle due storie apparentemente slegate di un bambino che perde il suo cane, morto fulminato, e di un uomo abbandonato dalla sua donna. La traccia trasversale è la vita desolante, lo sguardo che, quando si indirizza a vedere oltre, non vede nulla che già non ci fosse prima. Sotto il cinismo, il dolore esistenziale che non trova le parole esatte, neppure quelle del dizionario del protagonista, per esprimersi e, per questo, trabocca in mille rivoli espressivi che travolgono.
Il taglio registico mira ad inchiodare lo spettatore, a costo di provocare disagio. Giusta scende tra il pubblico e crea un clima di tensione inquietante. Il registro è cinico-ironico, le battute spiazzanti strappano la risata, ma si ride consci degli imminenti cambi di argomento e di tono. La risata non libera dall’ansia, il monologo “basato sul niente” entra dentro, fa pensare, richiede l’attenzione necessaria a entrare nella logica del narratore e non è liberatorio. Thom Pain parla al plurale e dice: “sappiamo chi siete”, è come se la sua inadeguatezza fosse quella di ognuno. Non se ne esce pacificati perché il finale non ha soluzione e arriva improvviso e casuale come l’incipit al buio.
Una prova attoriale di grande spessore, un testo bello e difficile, che arriva al cuore grazie ad un’interpretazione che abbraccia diversi registri e li alterna in modo repentino, non facendo mai cadere ritmo e attenzione.
Assolutamente da vedere.