9 Dicembre 2013
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Scuola precaria: ‘accesso precario’
Nel corso delle scorse tre puntate, questo approfondimento sul mondo della Scuola, ha messo in evidenza aspetti spesso dimenticati e non discussi del precariato lavorativo:, graduatorie, concorsi riqualificazioni forzate. In quest’ultima puntata, l’esperienza di Emanuele Andrea mette in evidenza il nodo spesso dibattuto, ma ancora ad oggi non risolto del reclutamento dei nuovi insegnanti.
L’esperienza di Emanuele Andrea
Mi chiamo Emanuele Andrea Spano e sono un giovane precario: giovane per una questione anagrafica perché la precarietà si trascina dal giorno della laurea e ormai rappresenta una costante nel mio percorso professionale.
La mia storia, in fondo, è quella di tanti: una laurea triennale in Lettere moderne e una specialistica – mai fuori corso, tutto nei tempi prescritti! – la speranza di poter condurre quel lavoro di tesi oltre i limiti del corso di studi, tentando la strada della ricerca. Allora era indispensabile scegliere tra un biennio per ottenere l’abilitazione all’insegnamento o il dottorato, in nome di una fantomatica separazione tra le carriere. E così all’insegnamento, che mi appariva come la via più facile e scontata, ho preferito l’università, che mi consegnava ad un’incertezza apparentemente più profonda. Non mi allettava l’idea di rinchiudermi dentro un’aula in cui continuare a ripetere le stesse cose, inchiodati dai programmi ministeriali senza neppure una qualche prospettiva di carriera. Ho abbandonato Pavia e ho vinto il concorso di dottorato a Padova, ho incominciato a lavorare per un professore che da sempre si occupava delle cose che più amavo. In quei tre anni da pendolare, ho pubblicato articoli, ho collaborato con riviste, ho interrogato agli esami come assistente. Intanto mi ero già iscritto alle Graduatorie di terza fascia della provincia di Alessandria: quelle graduatorie che non richiedono un’abilitazione, ma in cui viene chiesto unicamente di inserire le classi di concorso alle quali si può accedere – ovvero le materie che si possono insegnare – e una lista di venti scuole della provincia in cui si vorrebbe prestar servizio.
Non so dire come il mio passaggio dall’ambito accademico alla Scuola sia avvenuto, una volta concluso il dottorato, e non sono neppure convinto che quella esperienza sia del tutto conclusa. Ho iniziato a lavorare per qualche istituto privato, poi qualche supplenza di poco conto e una cattedra annuale.
Ogni anno, prima dell’inizio dell’anno scolastico, si passa attraverso le convocazioni, si attendono le chiamate e si spera di riuscire ad avere un posto per qualche mese, anche ad un’ora di strada da casa; ogni anno, dopo il 30 giugno, inizia la disoccupazione, retribuita o meno, e si è di nuovo nello stesso girone infernale.
Ero troppo giovane per accedere all’ultimo concorso bandito e ancora mi mancano una manciata di giorni di servizio per avere accesso ai “tirocini formativi” speciali riservati a chi ha già insegnato. Quest’anno sono assunto in un istituto tecnico di Alessandria con una supplenza breve. Ho gli stessi doveri di tutti i miei colleghi, le stesse responsabilità, gli stessi obblighi, ma credo di avere diritti diversi. Lo stipendio impiega più tempo ad arrivare, le ferie non godute dell’anno passato sono state annullate, non ho prospettive per il futuro e non so dove sarò tra un anno.
Non penso più che insegnare sia una cosa facile o scontata, ma credo che richieda dedizione e pazienza, credo che il buon insegnante vada valutato in base a quello che fa dentro la classe e non in base a quello che scrive sul registro o in base ai giorni, alle ore e ai minuti che si trova dentro le mura della scuola.
Vorrei essere un insegnante, ma al momento sono soltanto un manovale dell’Istruzione.
Se dovessi raccontare a chi non sa che cosa vuol dire essere precari nella scuola, ecco, è tutto questo: sapere di doverci essere, di dover fare le cose nel modo giusto, di dover trasmettere ai propri studenti qualcosa senza far pagare anche a loro il peso della precarietà; pur sapendo di essere subalterni, di non esistere se non come numeri, come sostituti a breve o a lungo termine di qualcun altro.
Diventare insegnati.
La storia di Emanuele mette in luce il problema strutturale dell’accesso al mondo dell’insegnamento. Laddove già negli anni Novanta il problema dell’accesso alla professione appariva un problema sostanziale per il sistema scolastico nazionale, dal 1999 una serie di provvedimenti ministeriali hanno una galassia contradditoria di percorsi formativi propedeutici all’insegnamento a cui si associano diversi diritti e possibilità. Dopo una prima idoneità all’insegnamento ottenuta con il conseguimento di un titolo di studio (generalmente ad oggi un titolo di laurea magistrale), il percorso di inserimento e stabilizzazione degli insegnati si è legato da una parte i concorsi, dall’altra i percorsi post-universitari della SISS e del TFA, dall’altra ancora gli ibridi quali i Percorsi Abilitanti Speciali. A questi diversi strumenti sono stati associati diritti e priorità diverse per l’inserimento in ruolo. Tale situazione mai sanata, come messo in luce dall’allegato a cura di FLC-CGIL, nel corso degli anni ha creato una galassia lavorativa frammentata, di precariato sempre più esteso.
In questo paesaggio di sicurezza, i lavoratori, come Emanuele Andrea, si trovano spesso privi di quegli strumenti capaci di riconoscere e legittimare il loro ruolo all’interno dell’Istituzione e di potere pienamente scegliere, strategicamente e prospettivamente, del loro futuro.
La storia di Emanuele Andrea, inoltre, mette in luce un’altra bizzarria del sistema italiano, ovvero la separazione delle carriere tra quelle legate alla Ricerca e quelle della Scuola. Per questo principio, dottorati e percorsi di insegnamento a livello universitario finiscono con avere peso scarso o nullo per quanto riguarda l’accesso nel campo della Scuola anche in casi, come quello di Emanuele Andrea, in cui le materie studiate sono affini a quelle insegnate nelle scuole. In tal senso, ancora più chiaramente emerge una domanda circa quali siano le qualità, le abilità necessarie all’insegnamento e quali siano quelle effettivamente riconosciute ed apprezzate all’interno dei percorsi burocratici e di accreditamento che scandiscono la realtà del lavoro nella Scuola.
Conclusione
Con questa quarta puntata si conclude l’approfondimento Scuola Precaria. Questo progetto ha voluto offrire un quadro della realtà viva di cosa voglia oggi dire lavorare e voler lavorare nella Scuola. Si è voluto dare voce a i Precari non tanto per scoraggiare i giovani che vogliono diventare a loro volta insegnati; bensì, si è voluto cercare di mettere in luce il mondo vitale dei lavoratori e mettere a nudo il sistema burocratico farraginoso e tragico che oggi descrive l’Istituzione della Scuola. Questo progetto editoriale è quindi un invito ad iniziare una discussione pubblica trasversale ampia capace di definire finalmente il profilo ideale di cosa la Scuola debba essere e debba offrire agli studenti e ai lavoratori che sono, in ultima istanza, la Scuola.