18 Novembre 2025
21:02
Ex Ilva, rottura tra Governo e sindacati: proclamato lo sciopero. Mercoledì assemblea anche a Novi
ITALIA – Sull’ex Ilva stop al dialogo tra Governo e sindacati. Questa la decisione delle parti sociali dopo il tavolo di questo martedì a Palazzo Chigi tra l’Esecutivo e i rappresentanti di Fiom Cgil, Fim-Cisl, Uilm-Uil, Ugl metalmeccanici, Usb che hanno quindi proclamato lo sciopero a partire da questo mercoledì: una decisione che tocca anche lo stabilimento di Novi Ligure dove alle 9 di questo mercoledì era già prevista una assemblea dei lavoratori. Durante questo confronto con i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil, quindi, si ufficializzerà una presa di posizione, sulla base di quanto già deciso a livello nazionale.
“Il Governo ha confermato il piano di chiusura, per noi, dell’ex Ilva“ ha rimarcato il segretario generale della Fiom Michele De Palma “abbiamo chiesto al governo di sospendere la decisione e abbiamo chiesto che intervenisse la presidente del Consiglio, la risposta che ci è stata data è stata la conferma del piano. Per questo noi, tutte le organizzazioni sindacali, abbiamo deciso di dichiarare lo sciopero, a partire dalla giornata di mercoledì, articolato in tutti gli stabilimenti”.
Da Palazzo Chigi è stato chiarito che “non ci sarà un’estensione ulteriore della Cassa integrazione, accogliendo così la principale richiesta avanzata dagli stessi sindacati nel corso del precedente tavolo”. In alternativa, viene spiegato in una nota, “saranno individuati adeguati percorsi di formazione in favore dei lavoratori, anche per coloro già in Cassa integrazione. La formazione servirà a far acquisire ai lavoratori le competenze necessarie alla lavorazione dell’acciaio prodotto con le nuove tecnologie green”. Il Governo ha confermato, inoltre, “piena volontà di concentrare le risorse sulla manutenzione degli impianti per mettere in sicurezza i lavoratori e in prospettiva aumentare la capacità produttiva”. Palazzo Chigi ha poi fatto il punto sullo stato delle trattative per la vendita del Gruppo e “ha manifestato la propria disponibilità a tenere aperto il confronto”, si legge in una nota di Palazzo Chigi.
La riunione è stata presieduta dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano e per il Governo hanno partecipato il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Marina Calderone, il Ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e per il Pnrr, Tommaso Foti, e il Consigliere per i rapporti con le parti sociali, Stefano Caldoro. Da remoto hanno preso parte anche rappresentanti delle Regioni Puglia, Liguria e Piemonte.
“Abbiamo chiesto al governo di ritirare un piano che ferma tutte le aree a freddo, che ci sembra la prospettiva di chiudere lo stabilimento per metterlo nelle disponibilità di potenziali acquirenti, che ad oggi non ci sono” le parole di Ferdinando Uliano, segretario generale della Fim Cisl “il piano industriale che abbiamo discusso a luglio e condiviso con i commissari e con il governo di fatto nel nuovo bando non c’è più. C’è un ridimensionamento totale e questo per noi significa aprire uno scontro, al posto dell’elemento di alleanza che ci aveva visto giocare una partita importante con il governo. Oggi queste condizioni non ci sono e quindi andiamo allo scontro. Non c’è nulla, neanche un disegno diverso. I potenziali acquirenti? Oggi non ce ne sono. Abbiamo ribadito la richiesta al governo di farsi impresa, se questo è un asset strategico”.
“I nostri dubbi, dall’incontro precedente, sono diventati certezze” ha concluso il segretario generale della Uilm Rocco Palombella “dopo il 1 marzo, non ci saranno 6 mila lavoratori in cassa integrazione, ma la totalità. Abbiamo provato a chiedere di sospendere la decisione ma dopo un’ora di sospensione, il Governo ci ha detto che utilizzeranno i 1500 lavoratori, che partiranno subito in cassa integrazione, per ‘fare formazione’, è solo un modo per dirci di no. Il re è nudo. Il governo si assume una grande responsabilità: mettere sul lastrico più di 10.000 lavoratori dopo anni di sofferenza. Hanno scaricato interi territori, sono fuggiti dalle proprie responsabilità. Noi abbiamo deciso di non demordere e dichiarare tutte le iniziative necessarie affinché venga modificata questa sciagurata idea che porta ovviamente alla chiusura dell’Ilva, di importanti siti siderurgici e con cui si abbandona qualsiasi forma di risanamento ambientale. Noi ci abbiamo creduto, ma da parte del governo e delle istituzioni è mancato il senso di responsabilità. Adesso devono dire loro dove questi lavoratori devono andare, chi si devono rivolgere”.
“Quello che è andato in scena oggi a Palazzo Chigi” ha aggiunto Antonio Misiani, responsabile Economia del Partito Democratico “è l’ennesimo atto di una gestione fallimentare da parte del governo Meloni del dossier ex Ilva. Dopo tre anni di promesse a vuoto, slogan e giravolte, il governo ha portato l’ex Ilva a un punto di non ritorno. Altro che rilancio: siamo di fronte a un collasso industriale e occupazionale che rischia di travolgere migliaia di famiglie e un intero territorio. I fatti sono sotto gli occhi di tutti: dopo aver bruciato qualsiasi interlocuzione credibile, prima con Baku Steel, poi con Jindal, ora l’esecutivo prova a vendere l’illusione di nuovi investitori fuori dall’Unione Europea. Ma non c’è alcun progetto serio, nessuna strategia industriale, nessuna garanzia per i lavoratori. Solo una confusa sequenza di rinvii e rassicurazioni di facciata. Il piano messo sul tavolo è un insulto all’intelligenza di chi da anni lotta per tenere in piedi la fabbrica. Non è un programma di rilancio: è la cronaca di uno smantellamento mascherato. Non a caso i sindacati hanno rotto il tavolo e proclamato lo sciopero: non si può continuare a prendere in giro i lavoratori con parole vuote mentre si prepara la chiusura degli stabilimenti. Parlare di formazione professionale e riduzione della cassa integrazione senza un progetto industriale solido significa semplicemente prendere tempo nell’attesa del disastro. E la scadenza di fine febbraio, con la fine degli ammortizzatori sociali, rappresenta un punto critico che il governo sta colpevolmente sottovalutando. Questo è il risultato di una politica che ha fatto dell’improvvisazione la sua cifra distintiva. Una politica che oggi, di fronte a uno dei più gravi fallimenti industriali della storia recente, non è più in grado nemmeno di fingere una direzione. È il momento di rompere il silenzio e pretendere un’inversione di marcia. Serve un intervento pubblico serio, risorse vere, e soprattutto una visione strategica che oggi è completamente assente. Taranto e l’Italia non possono più permettersi di pagare il prezzo dell’inadeguatezza di questo governo”.