3 Aprile 2017
16:15
Essere numeri uno
ALESSANDRIA – “La vita è fatta di piccole solitudini, quella del portiere di più”. Fabien Barthez, portiere della nazionale francese, descrive così il ruolo più folle e complicato di tutti nel calcio.
È il riassunto del numero uno, l’ultimo giocatore davanti alla linea di porta, quello su cui cadono tutti gli sguardi e i cori di scherno al momento del rilancio. È quel giocatore che alle spalle ha per un tempo la sua curva, per un altro un muro di insulti o di occhi conficcati nella schiena. Basta un errore grave, compiuto anche solo una volta, e da eroe diventi “uno” qualunque o peggio uno che da additare per la classica papera. In quel momento, infatti, “non importa quello che hai fatto in passato, perché sembra non avere futuro”, come ha detto il Ragno Nero Lev Jasin, unico Pallone d’Oro tra i numeri uno.
Gianmarco Vannucchi ha salvato decine di partite, ha conquistato il posto con la sua bravura, a soli 20 anni. Eppure adesso basta una subdola, assurda, leggerezza, per far diventare ogni palla pesantissima.
La storia del numero uno è la storia più complicata della terra. Si sogna di essere i primi, i protagonisti, e poi, quando si è lassù l’euforia di aver raggiunto quella vetta dura sempre troppo poco. La storia del portiere è anche un po’ quella dell’Alessandria Calcio. In cima dall’inizio e ora assediata dalle sue paure, dai dubbi, dallo scetticismo, dalle critiche. Quella posizione, che ancora mantiene, adesso non conta quasi più nulla. Lassù la solitudine si sente ancora più forte e il calcio rischia di smarrire il sorriso.
Il sogno della B è la cosa più grande per gli sportivi alessandrini. È la felicità di tornare al lavoro felici dopo una città che torna a essere grande, che torna a contare. È un riscatto che Alessandria va cercando da tempo. Che si affidi al calcio è solo un aspetto inutile da discutere, ma spiega anche la delusione cocente di chi vuole gioire, vuole sorridere.
E allora Vannucchi, giocatori dell’Alessandria, non è più tempo per avere paura, né per fare calcoli. Semplicemente è tempo di giocare a pallone, di lasciare tutto da parte, senza preoccupazioni, perché quello costruito finora non è venuto per caso.
Fate come dice Ronaldinho, nella lettera scritta a se stesso a 8 anni: “Devi giocare libero, devi giocare solo con il pallone, con gioia. Questo non lo capiranno molti allenatori, ma quando sarai in campo non farai calcoli. Tutto ti verrà naturalmente, per istinto. Prima che tu possa pensare, i piedi avranno già preso una decisione. La creatività ti porterà oltre i calcoli. Al Ronaldinho di 8 anni digli: “Gioca con allegria, gioca libero. Semplicemente, gioca con il pallone”.
Vannucchi, giocatori grigi, tornate indietro solo di qualche mese e ricordatevi quanto è bello giocare a calcio. E basta.