24 Maggio 2022
16:05
Perché e come abbiamo “litigato” sul silenzio di Luca Di Masi
ALESSANDRIA – Sì, alla fine è successo. La redazione di RadioGold ha litigato. No, tranquilli, non si è arrivati né alle mani né a brutte parole. Lo abbiamo fatto per una delle cose più banali ma allo stesso tempo sentite in Italia: il Dio Pallone. Argomento del contendere, come avrete intuito dal titolo, è il lungo silenzio di Luca Di Masi, patron dell’Alessandria Calcio, dopo la retrocessione in C. Il numero uno dei grigi, infatti, da quel 6 maggio 2022, non ha più proferito parola. Si è chiuso in un silenzio assordante che ha generato ansia, perplessità, rabbia e scoramento nei tifosi. Troppo dura da digerire la retrocessione in C? Troppa rabbia per un’occasione sprecata? Nuovo progetto in arrivo? Ridimensionamento in atto? Passaggio di società? Tanti (forse anche troppi) gli interrogativi che sono stati posti in questi giorni e che – con ogni probabilità – verranno dipanati il primo giugno quando Di Masi romperà il suo silenzio. Intanto nei bar, come nei circoli piuttosto che nelle strade, il confronto sul Di Masi pensiero si è fatto sempre più pressante e incandescente. Proprio come è successo a RadioGold.
PERCHÈ SONO CONTRO IL SILENZIO DI DI MASI
(di Francesco Conti)
I numerosi striscioni apparsi in diverse zone della città sono l’emblema del senso di frustrazione del popolo grigio, in balia delle incertezze da quasi tre settimane: una beffa, oltre al danno di una retrocessione in C inaspettata e, per questo, ancora più amara. Una beffa che, però, si poteva evitare. In questo senso una dichiarazione “a caldo” del presidente Di Masi sarebbe stata di sicuro opportuna. Nessun sostenitore invocava un presidente che, già la sera del 6 maggio, stilava con precisione l’elenco dei nuovi acquisti e la completa composizione del futuro staff tecnico. In quel momento non c’era bisogno del “Di Masi Presidente” ma del “Di Masi tifoso“, che facesse prevalere la componente emotiva a quella razionale, che manifestasse davanti a microfoni e telecamere tutta la sua delusione e scoramento, unita però a quella componente che, in tutti questi anni, non è mai mancata sotto la sua gestione: la passione per il colore grigio, la voglia di rimettersi in discussione e l’entusiasmo di riportare l’Orso dove merita.
Parole che, di sicuro, avrebbero favorito l’immedesimazione del popolo grigio nel patron e, soprattutto, evitato lo spargersi di voci rispetto allo scenario più traumatico come un ipotetico passaggio di proprietà. Una mossa che avrebbe rinsaldato il legame tra società e pubblico, un pubblico che, per tutto l’anno, non si è mai risparmiato in cori e incitamenti, anche dopo l’ultimo e doloroso triplice fischio. “Sono tornato ultras per una notte? Lo sono sempre stato” ci disse lo scorso anno Di Masi durante gli scatenati festeggiamenti in piazza dopo la promozione. Ma i tifosi hanno bisogno di toccare con mano la passione del suo presidente non solo nei momenti di tripudio ma anche, o forse soprattutto, in quelli dello sconforto.
PERCHÈ SONO A FAVORE DEL SILENZIO DI DI MASI
(di Federico Capra)
Vorrei partire da una constatazione: una squadra di calcio è a tutti gli effetti un’azienda. Ha bilanci da rispettare, tasse da pagare, stipendi da onorare, regolamenti interni ed esterni da seguire. Deve obbedire anche alle leggi dello Stato dove risiede così come a quelle della federazione a cui appartiene. Certo, rispetto a un’azienda che fa, tanto per dire, automobili, ha una componente in più. Parliamo della passione, del cuore, delle speranze di chi quella società la segue e la supporta. A tutti piacerebbe vedere CR7 o Messi al Moccagatta e lottare per vincere il campionato di A, ma è proprio per permettere a questa passione di resistere e sopravvivere in un mondo dove i fallimenti – sportivi e societari – sono sempre in agguato, certe scelte e decisioni non possono essere prese a cuor leggero. Di Masi del resto non è mai stato uno di pancia. Uno che, dopo un torto arbitrale, piuttosto che una contestazione o un obiettivo mancato irrompeva in sala stampa per urlare tutta la sua rabbia e il suo dolore. Sì, proprio dolore. Perché non è la prima volta che il presidente si commuove per quei colori che, e bisogna ammetterlo, sente come una seconda pelle.
Ma Luca Di Masi, oltre a essere un tifoso, è anche il presidente e massimo rappresentante di quella che è un’azienda solida e stabile come è diventata negli anni l’Alessandria Calcio. Forse in pochi ricordano i patimenti – per citare i più recenti – post Bianchi e alcune figure che hanno gestito il club. Parlare il giorno dopo la sconfitta, quindi, non sarebbe stato nel suo stile. Giusto allora che, da proprietario di baracca e burattini qual è, si prendesse il tempo necessario per riflettere, per valutare, per ripensare ai grigi del futuro (con o senza di lui). Ovvio che i tifosi vogliano risposte immediate. Ne hanno diritto e hanno tutte le ragioni del caso, ma Di Masi dalla sua ha anche la responsabilità di gestire una società-azienda, con dipendenti stipendiati, oltre a non illudere quelle stesse persone che oggi lo criticano e lo punzecchiano per il suo imperituro mutismo lungo quasi un mese. Perché sarebbe stato facile arrivare un paio di giorni dopo e spararle grosse, anzi grossissime. Fare in questo senso proclami più dettati dalla foga e dalla rabbia di una retrocessione arrivata dolorosamente all’ultima giornata e in maniera diretta piuttosto che un discorso a bocce ferme con un progetto sensato (qualsiasi esso sia) sarebbe stato controproducente oltre che dannoso per tutti.