Autore Redazione
mercoledì
29 Gennaio 2020
14:59
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Politica - Alessandria

L’allarme dei sindacati. Nel metalmeccanico più di 300 posti a rischio

Il preoccupante numero è emerso dall'analisi di Fiom, Fim e Uilm delle richieste e procedure di cassa integrazione tra le varie aziende metalmeccaniche della provincia di Alessandria
L’allarme dei sindacati. Nel metalmeccanico più di 300 posti a rischio

PROVINCIA ALESSANDRIA – C’è forte preoccupazione tra i sindacati del settore metalmeccanico di Cgil, Cisl e Uil. Non solo l’ex Ilva di Novi Ligure ma anche altre realtà della provincia sono da tempo in sofferenza e oggi gli ammortizzatori sociali “non bastano più“.

L’Alessandrino, hanno spiegato Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil, viene spesso tratteggiato come la provincia della logistica o del commercio, per la presenza dell’Outlet di Serravalle Scrivia. Il nostro territorio, hanno però ricordato i sindacati, non può vivere” senza una “produzione primaria” come quella metalmeccanica. A Novi Ligure si produce acciaio, nel resto del territorio torni,  rettificatrici e “materie prime” fondamentali anche per il settore alimentare. E sempre metalmeccanico è l’indotto dell’Automotive in zona Felizzano.

Le aziende metalmeccaniche, però, sono ancora “in forte difficoltà” e secondo i sindacati sarebbero tra 300 e i 400 i lavoratori complessivamente “a rischio“. Il preoccupante numero, hanno spiegato, è emerso dall’analisi di Fiom, Fim e Uilm delle richieste e procedure di cassa integrazione.

Nel casalese, dopo la dura crisi del settore del freddo,  il ricorso agli ammortizzatori sociali è stato annunciato a fine 2019 per prevenire eventuali contraccolpi occupazionali del nuovo assetto aziendale della Cerutti, su cui Fiom, Fim e Uilm chiedono di avere presto “comunicazioni ufficiali“.
Alla Bundy di Borghetto Borbera sono ancora in attesa di una risposta rispetto alla proroga della cassa integrazione straordinaria che coinvolge, a rotazione, circa 160 lavoratori. L’azienda sta “anticipando” ma il timore dei sindacati è che il prolungato silenzio sulla cassa integrazione possa concretizzare una sessantina di esuberi.
Nel tortonese la Acerbi Menci  “sta cercando di ripartire“. Tra i 60 dipendenti, però, ci sono ancora una quindicina di lavoratori in cassa integrazione straordinaria a zero ore, che l’azienda si è comunque impegnata a reintegrare.
Non lascia tranquilli la situazione delle aziende metalmeccaniche a Serravalle Scrivia. Alla HME, la ex Kme Brass specializzata nella produzione di barre di ottone, la cassa integrazione è aperta per 130 lavoratori e alla Serravalle Copper Tubes un anno e mezzo fa è stato stretto un accordo che ha messo sul piatto il “salario dei dipendenti per salvaguardare i posti di lavoro.

I primi segnali del 2020, inoltre, non confortano Fiom, Fim e Uilm. Anche aziende che erano riuscite a “tenere testa alla crisi” hanno iniziato a perdere terreno. Il pensiero dei sindacati corre ad esempio alla Termignoni, che avrebbe chiesto la cassa integrazione per questi primi mesi dell’anno, “periodo dove l’azienda, caratterizzata da stagionalità, aveva però sempre lavorato di più”.

Decisamente delicata è la situazione a Novi Ligure. Il 7 febbraio è in programma l’udienza della causa tra ArcelorMittal e l’ex Ilva per provare a rilanciare il polo siderurgico con base a Taranto. Nel novese, però, sindacati di categoria ed Rsu non hanno intenzione di attendere e già questo mercoledì pomeriggio discuteranno con i dirigenti del sito dei problemi di manutenzione nello stabilimento novese.

I sindacati dei metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil,  chiedono quindi a industriali, enti di formazione professionale e alla politica di fare “la loro parte“. Gli ammortizzatori oggi sono non sono più un appiglio economico a cui aggrapparsi in attesa di una ripresa. Troppo spesso le aziende dopo “chiudono” e per i sindacati è “assurdo” che a Valenza il settore orafo fatichi a trovare manodopera qualificata e nel resto del territorio provinciale ci siano licenziamenti ed esuberi. Sollecitiamo ragionamenti di prospettiva anche su come riqualificare lavoratori impiegati in settori non più richiesti verso professioni che hanno invece uno sbocco. Stesso discorso – hanno concluso Fiom, Fim e Uilm – per la formazione dei lavoratori di domani”.

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