16 Marzo 2017
00:48
In bici tra i diversi tempi della vita. Recensione di “Tempi maturi”
ALESSANDRIA – Una bicicletta in bilico su rulli, il senso del movimento ripetitivo e una storia di vita che scorre come un percorso.
“Tempi maturi” di Allegra de Mandato con Emanuele Arrigazzi, presentato mercoledì 15 marzo alla Sala Ferrero del Teatro Comunale nell’ambito di SET, Festival Sport&Teatro, è un monologo in equilibrio sia dal punto di vista fisico, sia da quello del contenuto. Il protagonista, su una bici che corre e ondeggia pericolosamente, narra una storia di vita, anch’essa in bilico tra la precarietà del mestiere di attore, la paura, i fallimenti e la scarica vitale dello sport. Il ciclismo diventa il luogo delle possibili vittorie, dell’adrenalina, della compensazione. E’ metafora della vita, ma è anche un’entità parallela che tende a sostituire la quotidianità.
La vicenda parte da spunti biografici, come la professione, per allargarsi al tema comune della mancanza di sicurezza e della provvisorietà che impedisce di crescere. Si parte da un lutto, da tempi fermi dove nulla trova una conclusione e dove manca uno scopo, per arrivare ad una nascita. E’ un percorso di maturazione e di incontri con veri o presunti mentori e soprattutto con un ex calciatore vittima degli effetti del doping , che distingue la bellezza dello sport dalla brama di vittoria ad oltranza. I tempi diventano, da acerbi e superficiali, finalmente maturi e si chiude un cerchio, mentre il protagonista, da figlio che da anni ha perso il padre, diventa genitore. Cessa per lui il doping mentale, la fase di stasi e di perdita della realtà nel rifugio delle corse ciclistiche amatoriali, e inizia il tempo maturo.
Arrigazzi suda, pedala e racconta, mescolando narrazione e fatica fisica. Segue un percorso che prevede impegno e cambi di marcia, mentre passa attraverso gli anni per ritornare indietro e poi ricongiungersi con il presente. La sua è una performance notevole, che rivela abilità e misura nel dosare sforzo e scorrevolezza nella narrazione. L’effetto è talvolta ansiogeno, legato al ruotare dei rulli e al beccheggio della bicicletta che, a tratti, sembra scivolare oltre, dando visibilmente il senso della precarietà raccontata e dell’accanimento nello sforzo. La realtà della prova coinvolge, ma si sente un po’ la mancanza dello sguardo (escluso dalla difficoltà dell’equilibrio) a creare un contatto con lo spettatore.
Il calciatore citato ha un nome, Carlo Petrini, e appare in un toccante video finale che dà il senso di quello che lo sport diventa nell’aberrazione del doping, che privilegia la vittoria alla vita.
Uno spettacolo che, attraverso la chiave dello sport, si apre alla parabola dell’esistenza.