25 Febbraio 2024
11:45
Al ritmo di una corsa. Recensione di “Bikila” al Teatro Ambra
ALESSANDRIA – Una storia che pare appartenere al tempo degli dèi e degli eroi, quegli eroi che, da soli, rappresentano interi popoli. Ieri, sabato 24 febbraio, Davide Fabbrocino ha presentato al Teatro Ambra lo spettacolo “Bikila”, nato dall’idea di Davide Ravan, scritto e diretto da Luca Zilovich e prodotto dal Teatro della Juta. E’ stato il terzo appuntamento della rassegna Ambrabramadimusicaeteatro, la cui prossima data sarà il 9 marzo con “Wo-Man”, uno spettacolo di danza prodotto da CDT Contemporary Dance Theater e OFBALANCE collettivo contemporaneo. Fabbrocino è solo sulla scena, con una sedia che diventa luogo da cui raccontare, ma anche asse focale di una maratona. Tutto inizia con l’arrivo della delegazione etiope all’aeroporto di Roma per le Olimpiadi del 1960, partecipazione già considerata in sé una vittoria da parte di un popolo crudelmente colonizzato dall’Italia fascista. Tra gli atleti, una guardia imperiale ingaggiata all’ultimo momento: Abebe Bikila, che, scalzo, guadagnerà, primo africano nella storia, una medaglia d’oro e segnerà un nuovo record nella maratona. E’ un teatro di narrazione, quello di “Bikila”, racconta una storia intorno alla quale ruotano e si annodano vite, vicende di popoli, aneddoti divertenti ed episodi drammatici. C’è il riscatto morale di una nazione finalmente libera sotto il suo imperatore Hailé Selassié, osannato come un miracolo dal movimento Rastafari (quello giamaicano della musica reggae di Bob Marley) e c’è il ricordo incombente dei massacri con i gas, commessi dal colonialismo italiano, per tanto tempo mimetizzato da una retorica da “italiani brava gente”. Ci sono gli allenamenti metodici e massacranti di Abebe lungo le strade di Roma, soprattutto ci sono l’orgoglio e la consapevolezza di fare la storia con un atto non solo sportivo, ma dal valore sociale. Fabbrocino corre, si appropria della fatica del suo Bikila; ripete, come un mantra, i nomi delle vie e dei luoghi percorsi, per non lasciare nulla al caso, perché “la maratona non è solo questione di testa ma anche di strategia”. E poi la gara, la fessura nelle mura del Campidoglio dove Abebe ripone la fede e le scarpe prima della partenza (lo sponsor ne aveva sbagliato il numero) e l’avversario più temuto, il marocchino Rhadi, un altro africano che decide di non rappresentare la Francia, ma il suo paese, appena devastato dal terremoto. Sembra di vederlo, Bikila, mentre calpesta i sampietrini bollenti sotto il sole del settembre romano, accelera sulla terra battuta della via Appia, che gli ricorda il suolo dell’Africa, e infine taglia il traguardo dell’arco di Costantino. Si percepiscono l’andatura della maratona, il caldo, i piedi nudi che battono il selciato e le sue asperità. Il protagonista dà corpo alla fatica fisica e voce ai pensieri dell’atleta, a quello che deve aver provato alla vista dell’obelisco di Axum, trafugato vergognosamente all’Etiopia nel 1937, in pieno periodo coloniale, e poi (ma solo nel 2005) restituito.
Gli eroi compiono le imprese, ma spesso non ne godono a lungo i benefici. Abebe vinse altri titoli e bissò il suo record, ma, nel 1969, a seguito di un incidente automobilistico, rimase paralizzato. Anche così rimase un atleta con la voglia di gareggiare, partecipando ai giochi paraolimpici nel tiro con l’arco, continuando a vivere di vittorie e a salire al volo sui treni della vita. Uno spettacolo che può inserirsi nel miglior teatro di narrazione, forte di un testo che abbraccia tanti argomenti e li organizza in un monologo intenso e ben strutturato. Notevole l’interpretazione di Fabbrocino, capace di dare risalto a fatti sociali e storici, di affrontare aspetti drammatici, di dosare satira e umorismo in una narrazione sempre brillante e misurata sul ritmo di una corsa non solo evocata, ma vissuta e sudata in prima persona. Sicuramente da vedere.