Autore Redazione
sabato
24 Agosto 2024
11:11
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Tempo Libero - Piemonte

Entrare nel rito. Recensione di “Stabat Mater” allo Storymoving Festival

Tantissimo pubblico ieri nell’enorme chiesa di San Giovanni Battista a Fontanile per la “creazione per sei voci e un duomo” di Faber Teater
Entrare nel rito. Recensione di “Stabat Mater” allo Storymoving Festival

FONTANILE – Ricreare il paesaggio sonoro del rito. E’ questa la spinta creativa dello “Stabat Mater” di Faber Teater, presentato ieri 23 agosto allo Storymoving Festival organizzato e diretto dal Teatro degli Acerbi, che ha attraversato l’estate con dieci appuntamenti di racconto e musica. Il festival terminerà il 30 agosto a Castelnuovo Belbo con “Dormono sulle colline”, narrazioni e canti tra le lapidi di un cimitero del Teatro degli AcerbiQui il link per info e prenotazioni

“Stabat Mater” è, si legge sul foglio di sala, “una creazione per sei voci e un duomo” ed è un contenuto che informa un suono, un significato il cui significante vibra e si adatta in modo sempre diverso ai vari luoghi. Antonella Talamonti, compositrice e ricercatrice che ne ha curato la drammaturgia sonora, ha introdotto la serata invitando all’ascolto e alla condivisione. Il suo lavoro di ricerca, insieme al Faber, nasce dallo studio dei riti che accompagnano la settimana santa, quelle processioni dove si vive insieme il dolore, camminando e ondeggiando all’unisono, tessendo una consolazione che solo la comunanza può generare.

Questo è il paesaggio sonoro che Faber Teater ricrea ogni volta in uno spazio diverso per risonanza e suggestione. Ciò che permane è l’idea di ascolto condiviso, di superamento dell’individualità nella comunità, in un rito antico che ha attraversato le epoche e ha fatto del canto lo strumento per avvicinarsi al mistero e per aggrapparsi alla salvezza. La chiesa di San Giovanni Battista di Fontanile è una costruzione grande e grandiosa, sormontata da un’altissima cupola e dotata di un’acustica che esalta la liturgia cantata. La sua risposta alle voci, ha spiegato Antonella Talamonti, è di quattro secondi ed è fatta di suoni che mutano la sensazione dello spazio. Per questo gli attori-cantanti del Faber hanno trascorso una giornata di residenza a studiare lo spazio-chiesa, la sua risonanza, le sue traiettorie sonore e i suoi scricchiolii.

Lucia Giordano, Marco Andorno, Francesco Micca, Paola Bordignon, Sebastiano Amadio, Lodovico Bordignon cantano canzoni antiche, in lingue diverse dal forte impatto emotivo, passando dal latino al sardo, al siciliano, al volgare di “Donna de Paradiso” di Jacopone da Todi e all’arberëshe, l’idioma degli albanesi giunti in Italia nel XV secolo. Sono canti della tradizione popolare e testi liturgici che parlano del dolore della Madre e della Passione, mescolati a testi originali che raccolgono oggi lo strazio tutto umano ed eterno di fronte all’ingiustizia degli uomini.

“Stabat Mater” non è un concerto e non è una sacra rappresentazione. Ha caratteristiche di entrambi, ma l’unica definizione possibile è quella del sottotitolo, ovvero “creazione”, perché qui la voce non fa solo la musica, ma diventa agente creatore di uno stato emotivo collettivo, come nel teatro e come nelle cerimonie. I suoni piovono addosso da ogni angolo della chiesa, partono dall’abside per attraversare le navate e giungere dalla balconata dell’organo e dal pulpito. E’ un effetto avvolgente ed inaspettato, enfatizzato dall’ampiezza delle volte e dal forte impatto teatrale, che travolge le parole fondendo le lingue e creando un linguaggio arcaico comune.

Così le spigolature antiche del sardo convivono con l’arberëshe (“lingua di pietra” l’ha definita Talamonti) e con il melodioso siciliano, in una processione che i cantori del Faber Teater compiono all’interno di uno spazio chiuso che sembra moltiplicarsi. In una suggestione che fa ammutolire e unisce in un ascolto senza alcuna distrazione, emergono, mescolati all’intimazione “crucifige”, contenuta in “Donna de Paradiso”, parole attuali, legate alla guerra e ad una città dove “non c’è più nessuno che balla” e dove sangue ed esplosioni perpetuano l’ingiustizia e il supplizio.

C’è molta ricerca dietro questo Stabat Mater, ma la percezione complessiva è quella di un tutto inscindibile che investe e comprende in sé. Si fondono significanti e significati, dialetti e lingue, popolare e colto, si scioglie l’individuo nella comunità e con lui il suo dolore viscerale. Perché prima ancora di cogliere il contenuto, già il suono comunica e ha l’impatto di un’esperienza da vivere al di là di ogni possibile descrizione. Da ascoltare, da vedere e da compartecipare.

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