Autore Redazione
sabato
12 Marzo 2016
23:52
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Eventi - Piemonte

Un mare di immagini. Recensione di “Il mare in tasca” alla Mezza Stagione di Costigliole

Un mare di immagini. Recensione di “Il mare in tasca” alla Mezza Stagione di Costigliole

COSTIGLIOLE D’ASTI – “L’arte di costruire eventi piccoli da essere intimi e da parlare ad ognuno e grandi abbastanza da essere universali”

Il mare in tasca” di César Brie, ultimo appuntamento, sabato 12 marzo,  della preziosa e seguitissima Mezza Stagione del Teatro Municipale di Costigliole d’Asti, con la direzione artistica del Teatro degli Acerbi, è stato un monologo di grande maestria, denso di spunti e sorprendente per la stratificazione di significati.

Un attore ateo si risveglia nei panni di un prete e discute con un Dio che è regista, sovrano e infinito che tutto permea e nulla permette. Proprio da questo Dio prepotente scaturisce l’interrogativo sul tema dello spettacolo. La risposta dell’attore, che celebra il suo rito in una sacralità che alterna spiritualità e scetticismo, è: “l’amore”.

L’amore è il riso che ricorda il matrimonio della madre, fallito dopo un bagliore di felicità, è il suo abito bianco, ma anche la condivisione di sé dell’attore con il suo pubblico, in una forma di comunione rituale simboleggiata dal gesto di addentare una mela.

Difficile definire la reale tematica di “Il mare in tasca”. E’ un flusso di coscienza in forma di immagini poetiche che si susseguono e sovrappongono in modo vulcanico. Pensieri e memorie ritornano come il mare del titolo, rappresentato da un nastro azzurro che esce da una tasca e separa dall’infanzia. Sempre il mare è luogo dei naufragi che separano l’adolescenza dalla vecchiaia e arrivano alla porta che rappresenta la morte, ovvero, per l’attore, la fine dello spettacolo.

L’effetto è quello dell’incanto e, a tratti, del riso liberatorio. La forza di César Brie è quella di passare da momenti sublimi ad altri di ilarità, in cui autoironizza, balla e canta con un ritmo irrefrenabile che sconcerta e suscita la risata.

La scena apparentemente è povera, ma si anima con tanti oggetti che diventano altro, si modificano, si scompongono e molto significano.

Il finale si presenta come il termine del percorso del sentiero della vita, ma anche questa è un’apparenza, perché il protagonista rientra per spiegare quello che sarebbe dovuto essere l’epilogo, se solo avesse trovato una tortora a simboleggiare lo Spirito Santo. Forse una speranza, ma più probabilmente un finale aperto come tutta l’esistenza. Certo prevale l’ironia, nel racconto sostitutivo, di chi passa dalla celebrazione di un rito al gioco del non prendersi troppo sul serio.

Uno spettacolo che compie 27 anni e sembra scritto oggi, da vedere almeno una volta nella vita.

Nello spirito interdisciplinare della Mezza Stagione, lo spettacolo è stato preceduto dalla pillola di danza YY, di e con Aldo Torta e Stefano Botti, e seguito dal dopoteatro nella Cantina dei Vini con “Musiche …da film” a cura di Symphòniam Associazione-Cultura Musicale con il soprano Stefania Morando.

Nicoletta Cavanna

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