Autore Redazione
lunedì
23 Giugno 2025
11:39
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Tempo Libero - Asti

Quando si prende tutto. Recensione di “Nel blu” ad AstiTeatro 47

Applauditissimo Mario Perrotta nella prima regionale del suo ultimo spettacolo su Domenico Modugno e su un’intera epoca
Quando si prende tutto. Recensione di “Nel blu” ad AstiTeatro 47

ASTI – “Inventare l’inesistente” è prerogativa del genio e della sua vitalità. “Nel blu. Avere tra le braccia tanta felicità” di e con Mario Perrotta si muove tra recital e teatro-canzone per parlare di Domenico Modugno, delle sue radici salentine, ma anche di un momento storico, quello che dal dopoguerra è sfociato negli anni del boom, e della sua rapida evoluzione.

Lo spettacolo, applauditissimo dal pubblico, è stato presentato ieri 22 giugno al Festival AstiTeatro 47 e ha visto il protagonista nelle vesti non solo di attore, autore e regista, ma anche di interprete musicale accompagnato dai musicisti Vanni Crociani (pianoforte, fisarmonica), Giuseppe Franchellucci (violoncello) e Massimo Marches (chitarra, mandolino).

L’andamento è dialogico e nei dialoghi si materializzano i fatti. Perrotta incarna una forza entusiastica sorretta dal genio, si sdoppia in più personaggi e dà vita al rapporto di Modugno con il padre, con l’amata moglie Franca, con l’amico Franco Migliacci, illustratore, produttore ed editore discografico. Ma la forma dialogica dà voce anche a Polignano a Mare, suo paese pugliese d’origine, entità collettiva che sin dall’inizio rappresenta un’immobilità e una rassegnazione destinate ad essere accese da un uomo fuori dal comune.

L’incipit con “Amara terra mia” traccia lo stile della scrittura drammaturgica. Ai versi struggenti della canzone si intrecciano i dialoghi di Mimì giovanissimo (questo il soprannome familiare di Modugno) con il padre, con lo scetticismo delle voci di paese, con lo zio che gli presta, dopo lunga trattativa, quel poco denaro con cui partire, insieme alla fisarmonica, verso Torino alla ricerca del successo come attore.

La tessitura in cui Perrotta si muove, interpreta più personaggi e canta sorprendentemente bene è totalmente musicale, sempre integrata nell’accompagnamento dei musicisti sul palco, priva di sbavature e tale da sfumare i contorni del parlato e del cantato.  La ninna nanna salentina, cantata in una trasmissione radiofonica con ospite d’onore Frank Sinatra, segna la svolta di Mimì verso la notorietà. Inizia così il periodo delle canzoni in dialetto salentino spacciato per siciliano, espediente di marketing in un periodo di poco interesse per il Salento e motivo di impopolarità nel suo paese d’origine.

La narrazione non è mai in terza persona e Perrotta evita anche il tradizionale monologo, sempre tutto avviene nel dialogo e sempre emerge una vitalità dirompente (il sottotitolo “Avere tra le braccia tanta felicità” parla chiaro), contagiosa e propulsiva. E così, con lo stesso ottimistico vitalismo, si muove intorno al protagonista la società della fine degli anni ‘50, verso quel periodo foriero di benessere, di cambiali firmate per acquistarne i simboli, ovvero il televisore, il frigorifero, il bidet e ciò che, fino a poco prima, sembrava precluso.

Foto di Franco Rabino

Dalle canzoni vernacolari (“U pisci spada”, “La donna riccia”, ma anche “Lu Tambureddu”, cantata con il tamburello a sonagli e un ritmo da pizzica da ballare) si arriva alla svolta in italiano con “Vecchio frak” e “Nel blu dipinto di blu”, successo sanremese e mondiale creato con Franco Migliacci.

Con una drammaturgia compatta e coerente lo spettacolo attraversa anni e sogni di una generazione dal punto di vista di chi parte, lascia ma mantiene il legame con una terra bella e amara per “prendersi tutto”, in un azzardo speranzoso che ha caratterizzato un’epoca. Più di un’ora e mezza di spettacolo che sembra volare, passando da un registro decisamente divertente (irresistibile la carrellata della musica sanremese dell’epoca, tra colombe bianche e gorgheggi) a momenti di maggiore introspezione (il suicidio del padre di Mimì accostato a “Meraviglioso”), in un intreccio complesso e ben orchestrato di biografia, spaccato antropologico e ottima prova attoriale (non ultimo, anche canora).

L’epilogo è proprio nella canzone del titolo, cantata a braccia spiegate, come Mr Volare fece nel Sanremo del ‘58, e troncata proprio sul famoso motivo sul quale cala il buio. E’ la storia della musica ed è la nostra storia: quando qualcosa è talmente radicato nella memoria non serve la ripetizione, basta un accenno per il riconoscimento e il pubblico lo sa.

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