Autore Redazione
lunedì
27 Gennaio 2020
06:15
Condividi
Cronaca - Eventi - Piemonte

Come tessere di un puzzle. Recensione di “Guido suonava il violino” ad Asti

Tutto esaurito per il debutto allo Spazio Kor dell’ultima produzione per la Giornata della Memoria della Casa degli alfieri
Come tessere di un puzzle. Recensione di “Guido suonava il violino” ad Asti

ASTI – “Ciascuno vive perché è ricordato” e continuare a far vivere è il lavoro enorme dell’ISRAT , l’Istituto per la Storia della Resistenza della Provincia di Asti, presente sul territorio da trentacinque anni. La dottoressa Nicoletta Fasano, ricercatrice dell’ISRAT e autrice di saggi storici, ha tenuto ben presente la necessità della memoria nello scrivere il suo primo romanzo breve “Il violino”, da cui Patrizia Camatel ha tratto “Guido suonava il violino”, monologo teatrale da lei diretto e interpretato da Elena Formantici.

Lo spettacolo, di casa degli alfieri e archivio della teatralità popolare, ha debuttato, per il Giorno della Memoria, ieri, domenica 26 gennaio, nel tutto (ma proprio tutto) esaurito Spazio Kor e sarà replicato nell’astigiano (anche a beneficio di coloro che, a causa del sold out, non hanno potuto assistere alla prima) a partire da stasera. Sarà in scena, lunedì 27 gennaio alle ore 21, a San Damiano d’Asti al Foro Boario, venerdì 31 gennaio alle ore 21 a Villanova d’Asti nell’Ex Confraternita dei Batù e, sabato 1 febbraio alle ore 21, a Scurzolengo nel Salone Comunale.

Patrizia Camatel-Elena Formantici-Nicoletta Fasano

La memoria, in “Guido suonava il violino” è un puzzle, ha un fulcro magnetico nell’oggetto-violino e tante tessere che si muovono e man mano costruiscono un quadro. Patrizia Camatel, qui drammaturga e regista, ne parla come di “un racconto giallo che assume le misteriose atmosfere di un thriller storico” e il mistero è palpabile. Aleggia nel presente della protagonista, una ricercatrice di professione, e si interseca con flashback storici che hanno la potenza della visione. La storia è quella (tristemente vera) di una famiglia ebrea, i Foà Luzzati, sfollata da Torino ad Asti e poi deportata. Due piani storici, protagonisti che si delineano e prendono forma, contesti lontani che si intersecano, grazie ad un oggetto che ha il potere di sopravvivere agli uomini e alla distruzione. Elena Formantici interpreta una donna razionale, eppure travolta, come in un film dalle atmosfere soprannaturali, da qualcosa che la spinge a vedere oltre. La sua quotidianità, dipinta inizialmente con un tono persino un po’ ironico, è attraversata da una storia che deve emergere, per mantenere in vita i protagonisti e salvarli dall’oblio. Ma la stessa interprete è anche Guido, il piccolo proprietario del violino, sua mamma Estella, il nonno Camillo, suo inflessibile maestro di musica, e molti altri personaggi. Con una espressività gestuale e una duttilità vocale, che paiono naturalissime, trasmette ingenuità, tradimento, amore e incredulità. E allora si palpita di inquietudine, si sente l’umidità della pioggia, si ascoltano rumori che rievocano una storia collettiva che solo si accenna, perché lo scopo qui è ricomporre delle identità, dare loro una specificità indimenticabile.

Guido Foà, di otto anni, fu il più giovane deportato dell’astigiano, ha raccontato al termine dello spettacolo la dottoressa Fasano. Salito sullo stesso convoglio di Primo Levi, fu uno di quei bambini caricati, all’arrivo ad Auschwitz, su un camion diretto alla camera a gas, poiché non utili al lavoro. Questo è un dato storico, mentre non sappiamo se Guido suonasse il violino, ma il teatro e l’arte usano la poesia per far volare bagliori di verità. “Guido suonava il violino” si nutre di verità, la restituisce in forma lirica, tiene sospeso lo spettatore, come un racconto giallo, e, grazie ad un’interprete dalla fortissima presenza scenica come Elena Formantici, non lascia neppure per un attimo indifferenti.

Condividi