26 Marzo 2020
05:22
La lotta al coronavirus e quell’affanno degli ospedali alessandrini
ALESSANDRIA – Sono passati quasi due mesi da quando il coronavirus è dilagato in Italia. Quasi due mesi di lotta senza sosta per fermare una pandemia che nel nostro Paese ha provocato più di settemila vittime, sfiorando la soglia degli 80mila contagi. Un flusso costante che sta mettendo a dura prova la tenuta della sanità pubblica. Una sanità in affanno a causa di una costante rincorsa nel tentativo di contrastare un nemico invisibile di cui non si sa ancora tutto.
Non fa eccezione la realtà alessandrina, che anzi è una delle più colpite in Piemonte per numero di decessi e positività al Covid-19. Sono tante le storie che ci arrivano ogni giorno dal personale sanitario schierato in prima linea a fronteggiare questa emergenza. Un personale che si sta assottigliando sempre più a causa dei contagi. Purtroppo anche gli operatori si stanno ammalando per mancanza dei giusti dispositivi di protezione individuale. Mancano le mascherine, i camici, i calzari e le cuffie. Parte così l’arte dell’arrangiarsi. Un’arte tutta italiana.
Quando mancano le FFP3 e le FFP2 allora si indossano le FFP1, inadatte a salvaguardarsi dal coronavirus, con sotto una o anche due mascherine chirurgiche. I calzari diventano sacchi della spazzatura arrotolati con un po’ di nastro adesivo. Discorso uguale per le cuffie. Mancano? E allora si utilizza quello che si trova in giro per coprirsi i capelli. Tanto che alcuni hanno scelto la via più drastica: un taglio corto, quasi militaresco, per essere più liberi. In alcune strutture sono anche fuori uso le docce negli spogliatoi degli operatori, come al San Giacomo di Novi Ligure. Ecco che l’eventuale decontaminazione viene completata nel bagno di casa propria.
Ed è proprio nell’arte di arrangiarsi che si capisce quanto gli ospedali siano in costante affanno. Il Comune di Acqui Terme sta ad esempio pensando a ricavare dei respiratori da delle maschere da snorkeling “per sopperire alle mancanze“, ha spiegato il sindaco Lucchini. Poi le donazioni costanti di mascherine. Ma più ne arrivano e più se ne ha bisogno. Le stanze da singole come vorrebbero i protocolli diventano presto doppie e, in caso di necessità, anche triple. Mentre quando i caschi monouso per la ventilazione sono esauriti li si recupera da chi non ce l’ha fatta o è stato intubato decontaminandoli in bidoni di ammoniaca o altri disinfettanti.
Poi ci sono i turni, diventati di 12 ore. Dalle 8 alle 20 in diurno e dalle 20 alle 8 in notturno seguiti al momento da tre giorni di riposo. Il tutto per un’assenza cronica di personale già evidenziata in passato ma ora tragicamente pressante. Poi i contagi. Anche i nostri angeli, come li si chiama da un po’ a questa parte, si stanno ammalando. E alcuni stanno anche morendo. Proprio come il dottor Granata di Casatelnuovo Scrivia, medico di famiglia e deceduto a 68 anni di coronavirus. Ecco, questa è la difficoltà degli ospedali alessandrini. La loro fatica e il loro modo di lottare contro questo nemico invisibile.
Queste sono le storie che molti operatori ci raccontano quotidianamente e abbiamo deciso di racchiudere in un unico articolo.
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