Autore Redazione
domenica
5 Luglio 2020
11:44
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Cronaca - Eventi - Piemonte

La parola dolorosa di Testori. Recensione di “In Exitu” al Teatro Alfieri

Ieri il primo dei due recuperi del cartellone Public dello Spazio Kor di Asti, programmato, per consentire la necessaria distanziazione, al Teatro Alfieri. In scena Roberto Latini
La parola dolorosa di Testori. Recensione di “In Exitu” al Teatro Alfieri

ASTI – E’ dichiarando una grande emozione, dopo centotrentadue giorni dall’ultimo palco, che Roberto Latini ha voluto ieri parlare alla platea del Teatro Alfieri, prima dell’inizio di “In Exitu”, perché “Il teatro è la cosa più umana che abbiamo…e il rinnovarsi del patto tra attore e spettatore sarà l’emozione più grande”.

E proprio ieri infatti, sabato 4 giugno, è ripresa la stagione Public dello Spazio Kor, dopo l’interruzione dovuta all’emergenza sanitaria. Il primo dei due spettacoli recuperati, e spostati al Teatro Alfieri, per consentire una maggiore capienza, in linea con le attuali disposizioni ministeriali, è stato “In exitu”, tratto dal romanzo di Giovanni Testori, interpretato e diretto dal pluripremiato Roberto Latini e prodotto dalla Compagnia Lombardi-Tiezzi.

Public è realizzata da Spazio Kor di Asti in collaborazione con Città di Asti, Fondazione Piemonte dal Vivo, Teatro degli Acerbi, Parole d’Artista e Concentrica, e con il sostegno di Regione Piemonte e Fondazione CRT, con maggiore sostenitore la Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito del Progetto PATRIC.

Il secondo spettacolo in cartellone che verrà recuperato sarà, sabato 11 luglio, sempre alle 21 al Teatro Alfieri, “Santa Rita and the Spiders from Mars”, reading di Marco Cavalcoli dedicato a David Bowie.

“In exitu”, ultima opera di Testori, è un testo drammatico, carnale e spirituale, di forte drammaticità nella descrizione incarnata del dolore, che assume su di sé tutte le brutture umane. E’ il racconto, vissuto e descritto, degli ultimi momenti di vita di Gino Riboldi, un tossico che si prostituisce per procurarsi la “farina”(o la “goccia”), e infine muore di overdose nel wc di una stazione milanese. Riboldi/Latini brancola, si contorce, percorre il tragitto che lo separa dal luogo dove iniettarsi la dose fatale con immensa fatica, come una Via Crucis di un Cristo laico. Alterna momenti di lucidità a ricordi d’infanzia, di violenze subite durante le sue squallide marchette, a invettive contro la “notte marcia” e contro tutto ciò che lo schiaccia e lo emargina. La forza del grido sta nel suo carattere eterno; appartiene ad un eroinomane, ma l’emarginazione e l’abisso sono gli stessi di tutti gli ultimi di sempre.

Latini fa del suo corpo sofferenza, si muove su una scena coperta di materassi, che aumentano il suo barcollare, di fronte ad un binario che suggerisce l’ambientazione nella stazione. Una rete da tennis lo divide dalla platea, una metafora ad una partita. Al di là c’è il pubblico, che riceve lo sfogo della “dolorosità del dolorare” e restituisce colpo su colpo, ma c’è anche la duplicità sempre immanente in Testori (fervente e tormentato cattolico, all’epoca di “In exitu” convertito a Comunione e Liberazione) tra carne e spirito, peccato e redenzione. La lingua, come sempre nell’autore, è un coacervo di milanese, latino, parole spezzate e contorte come il corpo del protagonista. Latini la fa sua e si sdoppia (ritorna il campo da tennis) nella voce roca, carica di dolore del Riboldi, amplificata da un microfono con asta, brandito come un bastone o una siringa, e in quella di un narratore/interlocutore. Prende il tono scandito simil-mussoliniano della dittatoriale maestra elementare e ricade nel ricordo di umiliazioni infantili, inizio di un percorso di emarginazione. La dicotomia corpo-spirito, narratore-protagonista ha un contrappunto nella scenografia e nella drammaturgia sonora. Tanto più il degrado e la sofferenza diventano laidi e si frammentano in particolari che sembra vedere e annusare, più contrastano l’ambientazione, contornata da veli che volteggiano al vento, e le musiche sublimi della partitura sonora di Gianluca Misiti, una traccia che suggerisce lirica e sacralità.

Gino Riboldi muore di overdose e sembra portare su di sé l’abiezione di tutto il mondo. La sua è una fine oscura e squallida, ma l’indomani, dalla sua barella coperta di un lenzuolo bianco, fu visibile “una sorta di luce che, lentissimamente, andava formandosi sopra il cadavere». Il lenzuolo diventa sulla scena un telo di plastica, che avvolge Latini e poi si gonfia a diventare una pallina da tennis enorme, che lo ingloba e ricopre. La partita è finita, così la sofferenza e la pallina/sepolcro di Riboldi Gino si apre all’eternità e al sacro.

Molti minuti di applausi al teatro Alfieri per una prova attoriale che ha del magnifico e che sa unire protagonista e spettatore con una forza propria solo del grande teatro.

Per informazioni su “Santa Rita and the Spiders from Mars”, il prossimo appuntamento di Public al Teatro Alfieri in programma sabato 11 luglio: tel 3491781140, info@spaziokor.it – www.spaziokor.it

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