Autore Redazione
sabato
8 Agosto 2020
10:31
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Cronaca - Eventi - Alessandria - Casale Monferrato - Novi Ligure

Fino alla fine della partita. Recensione di “90 minuti” ad Hortus Conclusus

Ieri, alla rassegna novese ideata e diretta da Andrea Lanza, Il Teatro del Simposio ha presentato la sua ultima produzione, ospite tra pochi giorni della prestigiosa Estate Sforzesca a Milano
Fino alla fine della partita. Recensione di “90 minuti” ad Hortus Conclusus

NOVI LIGURE – “Ogni tempo ha il suo fascismo…”, scriveva Primo Levi sul Corriere della sera, “… a questo si arriva in molti modi, …..anche diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti”.

Inizia così “90 minuti”, di Antonello Antinolfi con la regia di Francesco Leschiera, l’ultima produzione del Teatro del Simposio, presentato venerdì 7 agosto ad Hortus Conclusus, la rassegna ideata e diretta da Andrea Lanza e ambientata nell’affascinante Corte Solferino.

I 90 minuti alludono alla durata di una partita calcistica, ma anche al tempo che separa da un ultimo viaggio, disperato, ma vissuto sempre come una partita da giocare, dove sperare fino alla fine. La vicenda raccontata è quella di Arpad Weisz, allenatore ebreo-ungherese che in età fascista portò il Bologna a grandi successi e all’epocale vittoria sul Chelsea al torneo dell’Esposizione internazionale di Parigi  del 1937. Weisz, nonostante il suo talento riconosciuto, fu vittima delle leggi razziali e morì, come il resto della sua famiglia, ad Auschwitz, dimenticato da tutti. “90 minuti” parte proprio da una baracca ad Auschwitz, dove i fischi dei treni in arrivo si mescolano ai rumori di marce e ad ordini in tedesco. Arpad ( Ettore Distasio) ed un compagno (Mauro Negri) sono stremati e sanno di avere poco tempo davanti a sé prima di entrare nelle camere a gas. Un’ora, forse un’ora e mezza all’arrivo di nuove braccia da lavoro che li sostituiranno, in un campo dove i non-uomini vengono ammassati (e si intende ammazzati); il tempo di un match calcistico dove il protagonista spererà, guardando in alto, nelle camere a gas, fino alla fine.

E’ un’attesa scandita da gesti ripetitivi e lenti, in cui si riflettono stanchezza e dolore, e dove si inseriscono flash back di passato. I momenti della vita di Arpad prendono corpo nei dialoghi con Renato dall’Ara, l’allenatore del Bologna, interpretato da Negri (poi anche lettore dei documenti governativi sulla razza dell’epoca) con fare macchiettistico. La sua bonarietà da uomo d’affari bolognese contrasta con il disinteresse verso il suo allenatore, all’indomani delle leggi razziali, ed è paradigma di un comportamento indifferente, lo stesso dipinto da Levi e ben presente in ogni epoca. Arpad/Distasio è la sua controparte: un uomo schivo, parco di sorrisi eppure capace di illuminarsi all’idea di strategie calcistiche innovative, che lotta fino all’ultimo per lavorare e fare ciò per cui tanto si è impegnato. I suoi ultimi 90 minuti sono un viaggio nel passato, in cui riemergono il momento indimenticabile della vittoria all’expo del ‘37 a Parigi (in una Francia dove, solo 2 anni dopo, tutti fingeranno di non ricordarsi di lui), le immagini della moglie e dei figli, l’ostilità e la diffidenza calate intorno a lui al ritmo della propaganda fascista. La sua personalità è resa in forma dimessa, spezzata dalla disumanità prima del campo di lavoro e poi di Auschwitz, ma la sua dignità e la sua indole di giocatore emergono in momenti di luce, nella speranza mai sopita e nella consapevolezza di sé.

Arpad Weisz morirà in un giorno qualsiasi dell’inverno del 1944 ad Auschwitz e sarà dimenticato dai più, una storia tra le tante dei deportati nei campi di sterminio. Rimane l’immagine di uomo con la valigia, il bagaglio leggero consigliato, come un’ultima beffa, ai deportati, simbolo di una condizione di esule, ospite in una patria che può rigettare da un momento all’altro. Non è solo una vicenda singola, ma è la storia universale dell’indifferenza che genera atrocità e l’intenzione registica è evidente sin dall’apertura con le parole di Levi, tristemente attuali. Un testo basato sul passato che mira all’oggi, asciutto nei dialoghi e preciso nei gesti significativi e misurati, che non lascia indifferenti e non può non far pensare ai meccanismi ottusi che appoggiano i regimi autoritari.

Hortus Conclusus continua oggi alle 17 con l’Hortus free workshop ERBE E SPEZIE IN CUCINA, con Renza Borello e proseguirà sino al 4 settembre e, con appuntamenti ulteriori, sino al 22 settembre qui tutto il programma.

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