Solvay: le indagini dei Carabinieri del Noe e come si è arrivati alla richiesta di rinvio a giudizio
SPINETTA MARENGO – Il servizio delle Iene ha di nuovo portato all’attenzione nazionale la delicata vicenda di Spinetta Marengo, “il paese dei veleni” come è stato rinominato nel servizio della trasmissione di Italia 1 che ha raccolto le voci e le preoccupazioni dei cittadini che vivono vicino al Polo Chimico e all’area inquinata dalle sostanze che venivano prodotte nel sito e dove oggi è stata rilevata anche la presenza dei Pfas.
L’ultima indagine sull’inquinamento del Polo Chimico ha portato la Procura a chiedere il rinvio a giudizio a carico della “Solvay Specialty Polymers Italy s.p.a.”, società soggetta a direzione e coordinamento della multinazionale “Solvay S.A.” di Bruxelles (Belgio), con sede legale in provincia di Milano e stabilimento in Spinetta Marengo. Ora spetterà al Giudice per l’Udienza Preliminare valutare la proposta di esercizio dell’azione penale nei confronti dell’azienda e di due direttori, Stefano Bigini e Andrea Diotto, che si sono avvicendati alla guida dello stabilimento chimico dal 2015 al 2022, i quali, con le dovute garanzie relative allo stato del procedimento, se le contestazioni saranno confermate in ogni grado di giudizio, potrebbero essere ritenuti responsabili del reato di disastro ambientale.
Le ipotesi di reato hanno origine dall’attività di indagine svolta dal Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Alessandria con la stessa Procura, iniziata nel maggio 2008 e definita il 14 dicembre 2015 con sentenza di condanna della Corte di Assise di Alessandria, confermata nel 2019 dalla Suprema Corte di Cassazione, che comprovò le responsabilità della società Solvay per il reato di disastro colposo innominato per la contaminazione della falda e della zona circostante, condannando i vertici dell’epoca ed imponendo il risanamento con bonifica delle matrici ambientali, su cui è ancora attivo il sito produttivo, dalla pregressa contaminazione.
Le successive indagini, avviate alla fine del 2020 sempre dal locale reparto dell’Arma dei Carabinieri specializzato nel contrasto alle più gravi forme dei reati ambientali e coordinate dal Gruppo per la Tutela Ambientale e la Sicurezza Energetica di Milano, si sono avvalse del contributo di consulenti tecnici e esperti tra cui – in particolare – personale dell’ARPA di Alessandria, e hanno permesso e di ipotizzare a carico dell’azienda e di due dirigenti la responsabilità di avere omesso di provvedere al più efficace risanamento della pregressa contaminazione imposto dalla sentenza di condanna; inoltre, è stato chiesto il rinvio a giudizio perché sono stati raccolti elementi utili ad ipotizzare che Solvay abbia determinato in modo irreversibile la già sensibile alterazione delle matrici ambientali (aria, acqua, suolo e sottosuolo), continuando a inquinare il terreno e le acque di falda sottostanti lo stabilimento, ove – secondo quanto rilevato dagli investigatori – sarebbe stata riscontrata una diffusa e cospicua concentrazione di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), note come sostanze chimiche permanenti (“forever chemicals”, da cui ha origine il nome convenzionale dell’indagine), di accertata tossicità per l’ambiente e l’uomo, tra cui il cC6O4, di brevetto e uso esclusivo Solvay.
Nella richiesta di rinvio a giudizio la Procura, concordando che le risultanze investigative dei carabinieri, chiede che venga esercitata l’azione penale per accertare le eventuali responsabilità della società anche per aver affidato il contenimento (e parte del risanamento) della contaminazione della falda alla realizzazione di una barriera idraulica (che non può essere considerato un presidio contro le perdite impiantistiche) tesa a delimitare e contenere le sostanze inquinanti (tra cui cromo esavalente, arsenico, piombo, ddt, idrocarburi pesanti), la cui tenuta si sarebbe dimostrata nel tempo inefficiente, come evidenziato in occasione delle alluvioni del 2014 e del 2019.
Infine, se le condotte verranno accertate, i vertici aziendali saranno ritenuti responsabili di aver omesso di contenere e prevenire il trascinamento e il dilavamento dei materiali di scarto del processo produttivo, contenenti PFAS e movimentati all’aperto (in particolare fanghi e gessi) infiltrati nel terreno per loro inidonea conservazione in discariche interne allo stabilimento. Tale discarica è stata oggetto di un provvedimento cautelare, disposto dalla Procura della Repubblica, che ha interessato due delle tre vasche di cui è composta, già dichiarate esauste, ove sono contenuti fanghi industriali fluorurati contenti PFAS, essendo emerso che il sito sarebbe stato sfruttato saturandolo oltre i volumi autorizzati, collocandovi circa cinquemila tonnellate di rifiuti oltre il consentito.
È stato di conseguenza contestato il danno erariale per l’evasione dell’ecotassa di circa 130 mila euro ed il direttore protempore è stato denunciato anche per truffa ai danni dello Stato. Conseguentemente agli avvisi di garanzia, perquisizioni, sequestri e contestazioni varie da parte degli inquirenti, Solvay ha annunciato alla Procura di aver stanziato circa € 250 milioni per opere di miglioramento e bonifica del sito, ha creato un nuovo impianto di depurazione dotato di tecnologie all’avanguardia ed ha iniziato la riconversione degli impianti con graduale abbandono della produzione ed uso dei PFAS.