Autore Redazione
giovedì
18 Gennaio 2024
11:30
Condividi
Tempo Libero - Alessandria

Non solo avarizia. Recensione de L’avaro al Teatro Alessandrino

Sold out e tanto pubblico giovane ieri all’apertura della stagione di prosa del Comune di Alessandria e PdV. In scena, nei panni di Arpagone, Ugo Dighero
Non solo avarizia. Recensione de L’avaro al Teatro Alessandrino

ALESSANDRIA – “Nei classici ci sono strutture di pensiero che si riempiono di significati man mano che il classico procede nel tempo”. Così Il regista Luigi Saravo, affiancato dal cast de “L’avaro”, ha parlato ieri pomeriggio, durante la conferenza stampa a Palazzo Cuttica, della prospettiva da cui è partito per l’allestimento della commedia di Molière. L’avaro, con protagonista Ugo Dighero, è stato presentato ieri 17 gennaio nel tutto esaurito Teatro Alessandrino, nell’ambito della stagione di prosa del Comune di Alessandria e Piemonte dal Vivo. Sicuramente un successo di pubblico che ha inaugurato un bel cartellone, ma soprattutto una partecipazione massiccia da parte di spettatori giovani, fatto da sottolineare alla luce del consolidato lavoro presso le scuole in collaborazione con le compagnie teatrali del territorio.

Un testo, quello di Molière, molto rappresentato, quindi una sfida che sempre necessita di una prospettiva capace di dare nuova luce. La trama è nota e racconta dell’avido Arpagone, della sua pretesa di sposare la giovane Marianna e di imporre ai figli Cleante/ Stefano Dilauro (innamorato a sua volta di Marianna/Rebecca Redaelli) ed Elisa (innamorata di Valerio) matrimoni di interesse.

Un incipit trasgressivo su una musica rockettara, seguito da un dialogo ruvido tra Elisa/Elisabetta Marzullo e Valerio/Fabio Barone, fa emergere personalità ambigue, non esenti da un lato oscuro e da tratti di antipatia. L’intento registico dichiarato è una lettura in senso anticonsumistico, alla luce del momento attuale in cui “siamo usciti dall’economia capitalistica del tardo ‘900 e dobbiamo immaginare nuove modalità economiche”. Alcuni giudizi legati ai vizi capitali, ha spiegato Saravo nell’incontro pomeridiano, “suonano oggi in modo diverso che al pubblico del ‘600” e la scommessa punta su una rivalutazione di “temi che tentiamo di acquisire come nuovi valori”. Quindi un taglio comico, ma focalizzato sui volti non solo dell’avarizia, ma anche dell’avidità del consumismo sfrenato e distruttivo, fatto di bulimia di beni di consumo e di sperpero.

Tutto si svolge su una scena raffinata, delimitata da varchi e da bacheche mobili che contengono abiti e oggetti, scrigni di merci voluttuarie, ma anche armadi colmi di abiti di lusso dei viziati figli dell’avaro. Lo spazio si dilata ogni volta che la parete di fondo fa intravedere in controluce un cortile, nascondiglio del bramato tesoro. In questa scenografia mobile che insegue e separa talvolta i protagonisti, dando adito a dialoghi in contemporanea e delimitandone gli spostamenti, si consuma la beffa dei giovani, dei servi e della mezzana Frosina (Mariangeles Torres, anche nel ruolo del servo Freccia) ai danni di Arpagone.

Sono scambi veloci, caratterizzati da una traduzione (di Letizia Russo) del testo originale e volutamente attualizzata, dove Dighero è sempre al centro dell’equivoco, del dileggio e della sua sfera isolata di valori/disvalori. Il suo avaro è lontano da ogni caratterizzazione grottesca, persino la disperazione per la perdita del denaro, interpretata con movenze animalesche e a torso nudo, appare sincera nel suo degrado allo stato primitivo. Impossibile empatizzare per lui, ma neppure per i cosiddetti personaggi buoni, il cui egoismo travalica la naturale spinta di sopravvivenza e diventa pretesa ingiustificata. La brama di lusso inutile, la sovraesposizione mediatica da selfie, un sottotesto meschino, che aleggia nei dialoghi, dipingono un quadro caustico, dove il bianco e il nero si confondono. Il finale è equivoco e provocatorio come l’inizio, cui si ricollega idealmente. Sulle note di Money dei Pink Floyd i protagonisti si rivelano un’umanità volta o all’accumulo o allo sperpero, ma sempre accomunata dall’avidità che tutto fagocita.

Un allestimento prezioso che diverte e coinvolge il pubblico che ha riso e apprezzato. L’intento registico è interessante, ma solo in alcune parti evidente; forse meriterebbe un ulteriore approfondimento, magari sfruttando la traduzione volutamente attualizzata e quindi elastica. Riusciti e inediti l’incipit e l’explicit, come i flash tecnologici e le visioni di Arpagone sui tassi di interesse in forma di cori di voci bianche. Infine, ma non ultimo, un ottimo cast di attori (oltre a quelli citati sono in scena Stefano Dilauro, Cristian Giammarini, Paolo Li Volsi e lo stesso Luigi Saravo), che riescono a non cadere nel caricaturale e a dare spessore ai loro personaggi. Senza ombra di dubbio un successo, questo inizio della stagione di prosa del Comune di Alessandria e PdV.

Condividi