Autore Redazione
martedì
12 Marzo 2024
12:21
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Tempo Libero - Piemonte

Tutto parte da una maledizione. Recensione di “Cammelli a Barbiana” ad Asti

“Don Lorenzo Milani e la sua scuola” nella narrazione magnetica, sanguigna e lirica di Luigi D’Elia ieri alla seguitissima rassegna “Le sfide della Fede”, promossa dal Teatro degli Acerbi e dall’Istituto Oblati di San Giuseppe Marello
Tutto parte da una maledizione. Recensione di “Cammelli a Barbiana” ad Asti

ASTI  – “Cammelli a Barbiana.  Don Lorenzo Milani e la sua scuola” con Luigi D’Elia, che ne firma il testo con Francesco Niccolini, è la storia di una vita vissuta nella sfida, una storia particolarmente significativa nel prezioso cartellone della rassegna “Le sfide della Fede”, promosso dal Teatro degli Acerbi e dall’Istituto Oblati di San Giuseppe Marello. Lo spettacolo è stato presentato ieri, 11 marzo, nella splendida Biblioteca del Seminario Vescovile di Asti, scrigno di tesori bibliografici descritti e in parte mostrati a fine serata dalla direttrice Debora Ferro. Il prossimo spettacolo in cartellone, venerdì 22 marzo alla Chiesa di San Martino, sarà “Giobbe, storia di un uomo semplice” con Roberto Anglisani.

L’aula dalla bellezza austera e sacra è diventata il teatro dell’esperienza dirompente della scuola di Barbiana di Don Lorenzo Milani, soprattutto della sua forza interiore e della sua irruenza visionaria. Non si parte dalla famosa “Lettera ad una professoressa”, immagine del fallimento della scuola nei confronti dei meno abbienti, ma dal protagonista e dalla sua personalità inquieta, costellata di lati cristallini e ideali, come di lati irosi e collerici. Luigi d’Elia, diretto da Fabrizio Saccomanno, culla inizialmente lo spettatore con una narrazione ironica e affabulante. L’incipit (“signorino lo chiamavano”) narra di un giovane ricco e bello, rampollo di genitori colti e agnostici, tanto benestanti da possedere due delle quindici auto circolanti negli anni ‘20 a Firenze.

Si sorride agli episodi della dolce vita di un ragazzo sboccato e ribelle, promosso al liceo per il “miracolo del padre ricco”, incaponito nello studiare pittura senza saper neppure disegnare, negli anni della guerra e della chiamata al fronte dei suoi coetanei. E poi la conversione, improvvisa e inspiegabile, e il suo gettarsi “sulle scritture come un affamato sul pane”. D’Elia racconta, passando da un registro accattivante ad uno sempre più concitato. La ribellione insita nel giovane Lorenzo si traduce in critica nei confronti della società e della chiesa povera di spiritualità, nella percezione della maledizione di essere nato ricco, poiché, secondo il Vangelo di Matteo, «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli».

La sua promozione/punizione a priore nella frazione isolata di Barbiana, nel Mugello, in una zona di montagna povera e lontana da tutto, diventa una sfida al destino di ragazzi senza futuro. E Don Milani quel futuro lo vuole cambiare con le possibilità date dall’istruzione; con la sua scuola “senza voti, senza pagelle, senza banchi” vuole dare gli strumenti ai suoi ragazzi per “cambiare il mondo con le parole”. Con ostinazione e furia costruttiva ci riesce, fa di quel luogo d’esilio il centro di un’utopia mondiale, visitato da studiosi e intellettuali, ancora oggi vivo in forma di Fondazione a lui dedicata. Ed è con furia che D’Elia narra, racconta della passione per l’insegnamento, del caratteraccio e della totale dedizione del priore ai suoi allievi, della sua critica ad una chiesa immobilista e aderente alle ingiustizie sociali. Ne esce un ritratto per nulla mite e rassicurante del protagonista, ma veritiero, sanguigno, imperfetto e umano nel senso alto del termine.

Il testo è fedele al pensiero di Don Milani. D’Elia, che oltre che attore e autore è anche educatore di lunga esperienza, l’ha scritto a quattro mani con Niccolini, cucendo le tante lettere che il priore di Barbiana ha indirizzato alla madre e agli amici. Tutto lo spettacolo è attraversato da un dialogo con la madre, donna coltissima e, almeno inizialmente, sconcertata dalle scelte del figlio. E’ un fil rouge intimo, spesso sorridente nelle rassicurazioni filiali ad una madre preoccupata, sempre sincero e focoso come un animo inquieto.

L’esperienza della scuola di Barbiana durerà dal 1954 al 1967, anno della prematura morte di Don Milani, ma sopravvivono la Fondazione a lui dedicata e la sua memoria. Serve ricordare che, proprio nell’aula della Biblioteca del Seminario Vescovile di Asti, nel mese di novembre, un ex alunno del priore ha tenuto un discorso sulla scuola, una delle tante testimonianze di chi ha vissuto il sogno di uno straordinario educatore. Un sogno che sfocia in un explicit dal registro onirico, una visione che smentisce il versetto del Vangelo di Matteo.

Le spoglie di Don Milani vengono sepolte a Barbiana, sotto un cielo epifanico dove, finalmente, lui, nato ricco, attraversa, su un cammello, la cruna dell’ago. Un finale che sa di sogno e di meraviglia, che, ancora una volta, abbraccia un nuovo registro interpretativo e che conclude senza concludere, perché un’utopia realizzata è un vero miracolo (ovviamente nell’accezione latina e non soprannaturale del termine) e non può avere fine.

L’arte del teatro di narrazione non permette sbavature, si regge solo su un testo perfetto e su un’interpretazione magnetica. Luigi D’Elia, già noto al pubblico astigiano, che lo segue ormai ad ogni suo spettacolo in zona, compie un atto magico, ricrea un periodo storico, entra in una personalità complessa e vi fa partecipare gli spettatori. La meraviglia del suo teatro trasporta il pubblico (numerosissimo ieri ad Asti) in un viaggio collettivo dove ognuno immagina, vede, si indigna, gioisce e piange, per poi entrare nella dimensione della magia immortale. Uno spettacolo da non perdere e una rassegna da seguire attentamente.

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