Autore Redazione
lunedì
13 Maggio 2024
12:54
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Tempo Libero - Piemonte

Il fascino oscuro dell’immagine riflessa. Ieri il “Narciso” di Teatro Periferico ad Acerbi al Parco

Un percorso all'imbrunire nel bosco e nel mito quello di ieri alla rassegna curata dal Teatro degli Acerbi nei parchi della città di Asti. La prossima data sarà il 19 maggio con “Hansel e Gretel” di Campsirago Residenza
Il fascino oscuro dell’immagine riflessa. Ieri il “Narciso” di Teatro Periferico ad Acerbi al Parco

ASTI – “L’ascolto viene di notte” e, nel silenzio che libera dalle distrazioni, il peso delle parole e dei suoni cambia, prende forma nel buio e si sedimenta. La dimensione del percorso teatrale immersivo di Teatro Periferico di Cassano Valcuvia, che ieri 12 maggio nel Boschetto dei Partigiani ad Asti ha presentato il suo “Narciso” alla rassegna Acerbi al Parco, è quella delle parole e del cammino nel bosco all’imbrunire.

Il cartellone durerà sino al 16 giugno (data in cui sarà recuperato il monologo “Il testamento dell’ortolano” con Massimo Barbero, rimandato per pioggia), propone spettacoli e performance ambientati nei parchi cittadini di Asti ed è un’occasione per scoprire o vivere in modo più completo quei luoghi verdi che, sempre, sono fonte di benessere. Il prossimo appuntamento sarà domenica pomeriggio 19 maggio nel Parco Rio Crosio con “Hansel e Gretel” di Campsirago Residenza, con la regia di Michele Losi, per bambini dai 4 anni, con possibilità di essere accompagnati dai genitori. Qui il programma di Acerbi al Parco.

Narciso, scritto da Dario Villa e diretto da Paola Manfredi, è principalmente un cammino attraverso un bosco e attraverso un mito, in un viaggio poetico e musicale, che comprende liriche di epoche e autori distanti come Dante, Rilke, Pasolini, Ceronetti. Si è in gruppo, ma ognuno ascolta la narrazione con una cuffia, avvolto nell’intimità di un’esperienza individuale, guidata dalle voci dello stesso Villa e di Elisa Canfora. Si scivola in un tempo arcaico e nell’abisso cui l’immagine e la percezione di sé può condurre.

La stradina del Bosco dei Partigiani sale attraverso alberi antichi e, man mano, ci si ferma di fronte a dei tableaux vivents (protagonisti Marco Bossi, Maddalena Chiodo, Emma De Luca, Alessandro Luraghi, Raffaella Natali, Daria Parii, Pier Schiattone, Emilia Vigliarolo Marrapodi), che ripercorrono il mito di Narciso raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio. Narciso, giovane bellissimo e crudele, si lascia morire dopo aver conosciuto se stesso, come predetto dall’indovino Tiresia, ovvero dopo essersi specchiato nell’acqua ed essersi innamorato della sua sua stessa immagine, irraggiungibile e intoccabile. Si ascolta la voce della ninfa Eco, coperta di foglie e rami per nascondere la vergogna di essere stata da lui rifiutata, e la si vede, eterea e addolorata. Le immagini che si concretizzano tra gli alberi sono abbigliate di bianco, si riflettono in specchi o da specchi sono celate (la colonna è “Spiegel im Spiegel”, ovvero “specchio nello specchio”, tratto dal repertorio di Arvo Pärt), mentre altri specchi delimitano il percorso, rimandando in continuazione l’immagine dei camminatori. E’ l’immagine a dannare Narciso e la stessa può essere compiacimento o disperazione, infine ossessione.

L’immagine è la frattura della contemporaneità. Rileggendo il mito di Narciso da adulto, capisci che lui muore non perché ami la sua immagine, ma perché preferisce la sua immagine a se stesso…di solito si è delusi o vanitosi, perché siamo divisi: metà siamo bestiali, metà ci sentiamo Dio”. Sono frasi tratte non da un saggio sociologico, ma da un’intervista a Carla Bruni ed è un punto di vista molto legato all’oggi, alla paura di invecchiare e alla ricerca nevrotica della perfezione esteriore. Sembra di cogliere questa inquietudine nei gesti dei performer, che segnano ogni tappa con il loro apparire diafano da creature senza tempo, giunte qui e ora a significare una realtà di sempre.

Narciso appare infine nel suo specchiarsi e nel provare l’impossibile amore per ciò che è per antonomasia inconsistente, generando quel binomio di amore (seppur fatuo e mal riposto) e morte, fonte in ogni epoca di ispirazione poetica. Quando muore, al suo posto nasce il fiore che porta il suo nome. Si chiude qui la dimensione del mito, l’immagine rivela la sua provvisorietà e ciò che rimane è il lutto. Il cammino assume allora la sacralità di una processione al seguito di una donna che si pettina allo specchio (“pensando a quel suo figlio senza vita”), sulle parole di “Vicina agli occhi” di Pasolini. Nella lirica di Pasolini è il ricordo del fratello mancato ad essere evocato, mentre qui la rievocazione del buio, dello specchio, del pensiero della morte sovrappongono il sentimento di perdita alla narrazione mitica, mentre ci si avvia alla fine del cammino.

Non uno spettacolo teatrale in senso tradizionale, ma neanche una performance. Narciso è un’esperienza che contrappone la realtà priva di artificio del bosco, solido e veritiero, alla poca consistenza di ciò che appare in modo sfrenato. In un’epoca virtuale, lo specchio si moltiplica nei mille schermi in cui ci si riflette e il ritmo del mito, scandito dai passi e dalla notte che porta l’ascolto, conduce attraverso il fascino oscuro e la tirannia dell’immagine di sé.

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